Soulaiman e Jean-Francois

Il mio amico Soulaiman

Jean-Francois, della Biblioteca dello Spirito di Mosca, ha conosciuto il medico siriano quando si trovava in Russia. Oggi, grazie a un progetto di Ats, si sono incontrati a Damasco. Tra il progetto di un centro culturale, la guerra, il movimento...

Sono rientrato da poco da un viaggio di alcuni giorni in Siria, invitato dall’Associazione pro Terra Sancta (Ats), che sostiene la presenza dei francescani in Medio Oriente. Tutto nasce dal desiderio di padre Bahjat Karakach di Damasco di aprire un centro culturale nella capitale. L’idea non è banale: oltre a sostenere i bisogni materiali (soprattutto cibo e medicine), per ricostruire il Paese c’è bisogno di un ambito dove poter imparare di nuovo a dialogare e che sia un luogo di educazione al bello e al vero.

Sono stati giorni di incontri intensissimi, che mi hanno fatto toccare con mano da dove nasca la testimonianza cristiana.

Per festeggiare la fine del mese di maggio, la parrocchia latina nel centro storico di Damasco ha proposto una processione. Seicento persone si sono incamminate dietro la statua della Madonna. I canti erano accompagnati da trombe e tamburi. A vigilare sulla sicurezza del gesto, solo qualche soldato. Nonostante i rischi, i parrocchiani non vogliono rinunciare alla gioia di testimoniare, davanti agli occhi di tutta la città, la loro fede e la loro speranza.
Incontro, poi, suor Yola che si trova in quella che una volta era una casa per pellegrini, oggi riconvertita in centro di accoglienza per profughi. Qui arriva chi non ha ricevuto il visto per espatriare e chi non ha tentato l’attraversata del Mediterraneo. Mi dice: «Quante delle persone che abbiamo conosciuto sono poi morte affogate o uccise. Dio solo sa quante lacrime abbiamo versato per queste persone. Un dolore tremendo».

Da sinistra: suor Joseph Marie, Soulaiman, Tarek, Bashar e Jean-Francois

Ma l’incontro che attendevo di più era quello con Soulaiman. Siamo diventati amici a Mosca, dove lui, medico, era arrivato quattro anni fa per motivi di studio (Tracce ha già raccontato la sua storia). Adesso è rientrato nel Paese perché desidera aiutare la sua gente e partecipare alla ricostruzione della Siria. Quando mi vede non crede ai suoi occhi: «Sì, ci sentiamo via internet. Ma il tuo arrivo qui è un segno grande della misericordia per la mia vita». Io mi commuovo, ma dentro di me sento la sproporzione tra ciò che sono e la grandezza delle sue parole.

In questi mesi ha cercato di seguire il movimento leggendo i testi che vengono tradotti in arabo e tenendo i contatti con gli amici tramite internet. Quando mi parla di Riccardo, il visitor del Medio Oriente, e di Sobhy di Gerusalemme, gli si illuminano gli occhi. Ha organizzato qualche incontro di Scuola di comunità con i profughi del centro di suor Yola.

Mi fa conoscere i suoi amici: suor Joseph Marie, Tarek e Bashar. Lavorano con una quarantina di volontari per sostenere circa seicento famiglie. Distribuiscono pacchi di cibo, medicine, aiutano a pagare l’affitto, l’elettricità. Soulaiman mi invita a pranzo a casa sua per conoscere la sua bellissima moglie Maysoon e i suoi due figli Elias e Misho. Vivono in modo molto umile, ma per me hanno preparato un pranzo da re. Ad aiutare Maysoon è venuta anche una sua amica musulmana. Si conoscono da sempre.

Soulaiman mi mostra un angolo del corridoio: «Qualche mese fa, per ore, hanno bombardato il quartiere. Noi ci siamo messi lì, davanti alla statua della Madonna, al buio, per ripararci dalle schegge di vetro». Ora la situazione si è fatta più tranquilla.

Mi mostra anche lo studio medico che ha potuto aprire grazie agli aiuti di amici e di Avsi. Si trova al terzo piano di un edificio la cui costruzione si è interrotta a causa della guerra. La decadenza dell’edificio contrasta con il suo studio: tutto è arredato con cura e gusto. Ad aspettarlo troviamo due pazienti. Da loro, il dottore non si fa pagare: «Hanno molto più bisogno di me».

L'entrata dello studio medico di Soulaiman

Soulaiman mi fa conoscere il suo migliore amico: Bashar. Andando a casa sua, passiamo vicini alla zona di guerra. A duecento metri ci sono i ribelli. «Per ora c’è un accordo, non si spara più». Bashar è un professore universitario di Matematica. È anche scrittore e regista. Ci accoglie offrendoci un gelato. Lui è cattolico latino (Soulaiman, invece, invece ortodosso), ma non va in chiesa. Dice di non capire a che cosa servano i preti: «Dio lo incontro nelle persone, aiutandole». Si vede che è un uomo buono. Iniziamo una bella chiacchierata, che Soulaiman traduce dall’inglese all’arabo, sul bisogno di perdono che l’uomo ha e la Chiesa come luogo dove si può attingere a questo perdono. Dal balcone della casa, a centro metri, si vede il muro dell’antica prigione dalla quale san Paolo è scappato dentro una cesta.

Il giorno seguente suor Joseph-Marie, Soulaiman, Tarek, Bashar e Hanouar, un giovane soldato di leva, mi portano a vedere il monastero di Sednaya, a 40 chilometri da Damasco, fondato nel VI secolo dopo la visita di Giustiniano e l’apparizione della Madonna. Il monastero conserva un’antica icona della Vergine dipinta, secondo la tradizione, da San Luca. Preghiamo a lungo chiedendo la protezione di Maria, perché ci conservi la vita, e porti la pace.

Al momento di salutare Soulaiman penso a quanto sono grato di questa amicizia, che sfida la guerra e il dolore.

Jean-Francois Thiry, Mosca