Gli scatoloni della Colletta alimentare

Colletta 2018. «Il mio cuore era lieto. Perché?»

Settimane per trovare un magazzino e il muletto da usare il 24 novembre. Dopo tanti «no» ricevuti, le cose iniziano ad andare per il verso giusto. Ma ciò che sorprende Sacha non è il risultato, è quello che sta accadendo in lui

Quest’anno, per me, la Colletta Alimentare è iniziata presto: il 4 ottobre. Per la prima volta mi sono coinvolto con chi organizza il lavoro preparatorio per questo gesto. La prima esigenza era quella di trovare un magazzino dove stoccare tutti gli scatoloni che sarebbero arrivati dai diversi punti vendita. All’inizio ho pensato: «La questione del magazzino non mi tocca, perché sono l’ultimo arrivato. E poi, anche nel mio lavoro, appena sento parlare di “logistica”, faccio fare agli altri». Però questo pensiero mi ha subito "stonato" e mi sono detto: «Se voglio dare una mano non posso rimanere in panchina: voglio provare a coinvolgermi e non rimanere spettatore».

Da lì è cominciato il bello. Nei ritagli di tempo e nelle pause pranzo ho iniziato a cercare come un matto tra gli annunci di magazzini in affitto. Chiamavo i numeri di perfetti sconosciuti chiedendo sfacciatamente se volevano aiutare la Giornata della Colletta Alimentare dando gratuitamente il loro magazzino. La cosa strana era che ogni telefonata che facevo, ogni «no» che ricevevo, non mi demoralizzavano, ma mi rendevano sempre più certo che bisognava continuare a cercare.

Un sabato mattina, insieme a un altro ragazzo, faccio un giro in una zona industriale di Riccione: a ogni magazzino con la scritta “Affittasi”, chiamavamo e, puntualmente, ricevevamo un altro bel «no». Allora, un pochino sconsolati, prendiamo una via interna per fare inversione con la macchina e, per caso (o forse no), vediamo un altro cartello. Faccio il numero, quasi meccanicamente, e con voce poco convinta parlo con l’interlocutore che, dopo un «no» iniziale, appena sente le parole «Colletta alimentare» mi dice: «Ah, vi conosco! Io il 24 farò il volontario insieme a un amico». A questo punto, con il cuore in subbuglio gli dico, con fare scherzoso: «Se fai il volontario, non puoi dirci di no…». E lui, dopo nemmeno un secondo ride e mi dice: «Hai ragione!». Fissiamo un appuntamento e, dopo un sopralluogo, avevamo il magazzino. Gratis.
Stessa dinamica succede per la ricerca del muletto per spostare i bancali.

Da quel momento in poi, il numero di «sì» che ricevo a ogni telefonata inizia ad aumentare (richieste disponibilità di volontari, cambi turno, preparazione di cibo per chi lavora in magazzino…). Ogni richiesta che faccio diventa un «sì». La cosa più bella però è che, in tutto questo movimento, io mi sono sentito unito. Non ho vissuto, come spesso mi capita, a compartimenti stagni. Era tutto insieme: mia moglie, il lavoro, la Colletta, gli amici, la Scuola di comunità, la fraternità. Anzi, ogni giorno è stato occasione per cercare di entrare sempre più al cuore delle questioni.
Ho anche preso sul serio la proposta di Carrón (a volte queste indicazioni rimangono nel cassetto dei miei buoni propositi) di riprendere Il senso della caritativa, che avrò letto un milione di volte. Ma farlo con questa consapevolezza è stato incredibile.

Il 24 novembre è stato uno spettacolo. La mattina è iniziata con la messa nel magazzino poi, insieme a chi aveva lavorato con me per l’organizzazione di questo gesto, sono andato a trovare nei vari punti vendita di Rimini e Riccione tutti i volontari che avevamo incontrato in questi giorni e che ci avevano incuriosito (amici, persone conosciute da poco, sconosciuti che ci avevano contattato solo per fare la Colletta). I loro volti felici erano la cosa più bella. Infine, nel pomeriggio, dalle 16 fino a oltre mezzanotte sono stato insieme alla persona incaricata dell’inserimento dei dati provenienti dai vari punti vendita. Per più di 8 ore siamo stati a leggere ed inserire dei numeri (roba da diventare matti), ma il mio cuore era lieto. Perché?

Perché stavo sperimentando di nuovo l’unità. Ero unito. Ho sperimentato una tale apertura del mio cuore verso tutta la realtà che mi faceva essere lieto anche di fare un lavoro, a prima vista noioso, ma dentro il quale, invece, stavo gustando una bellezza incredibile.
Io ho sempre avuto il desiderio dell’unità e, il lavoro di questo periodo, mi ha aiutato a viverla. Non ho dovuto fare nessuno sforzo. Ho dovuto solo dire «sì» alle richieste della realtà. Non è stato solo il frutto di un mio impegno (che c’è stato), ma ho vissuto una sorta di cooperazione con il Mistero: Lui mi chiedeva e io dovevo rispondere o «sì» o «no».
Questi sì, che devo dire ogni secondo (anche adesso che la Colletta è finita, perché la vita è una continua provocazione) hanno generato sorprese continue e amicizie inaspettate.
Sacha, Rimini