La Giornata di inizio anno di CL al Forum di Assago

«Se ci vai tu, perché non dovresti proporlo a loro?»

Luigi invita i suoi studenti alla Giornata di inizio anno di CL. Prima è preoccupato che capiscano o che non si trovino a disagio. Poi lascia perdere e vive il suo gesto. Perché «il primo cuore che ha bisogno di essere risvegliato è il mio»

Sono un odontoiatra e dirigo a Milano un piccolo reparto con una quindicina di studenti di odontoiatra e igiene dentale. Dopo una chiacchierata con alcuni amici in cui chiedevo consiglio su cosa organizzare per i miei ragazzi per ripartire in questo anno accademico è venuta fuori, quasi per caso, questa proposta: «Perché non li inviti alla Giornata di inizio?». Lì per lì mi sono detto: «Ma così, in un secondo, mi comprometto e non li recupero più...». Chiusa la faccenda.

Però come un tarlo quella domanda mi risuonava dentro. Così, un po’ per stima e fiducia di chi me lo aveva detto, un po’ perché mi dicevo: «Se ci vai tu, perché non dovresti proporlo a loro?», con non poco impaccio, li ho invitati. Ragazzi di vent'anni ad ascoltare un sabato pomeriggio un prete con messa annessa: una pazzia!

Nei giorni successivi, stavo lì a contare quanti avrebbero accettato, quanti avrebbero capito e quanti no… Ed era un misurare quanto la forza del mio rapporto con loro poteva vincere anche una proposta così strana e fuori dalla sfera di “fiducia lavorativa e di credito” che potevano avere nei miei confronti. Tutto fino a sabato pomeriggio, fino alle defezioni dell’ultimo minuto e il dispiacere di averne portati solo quattro.
Poi li vedo arrivare: spauriti, imbarazzati, che mi chiedono sorpresi: «Dove li hanno comprati i collarini da prete quei tizi la?». E io sempre più a disagio.

Ci ritroviamo nel parterre e siamo circondati da disabili in carrozzina. I ragazzi mi guardano e non c’è bisogno che dicano niente, capisco che cosa stanno pensando: «Dove siamo finiti?!». Iniziano i canti e sui loro volti vedo sorrisini d'imbarazzo per qualcosa di così estraneo a loro, ma forse anche a me. Perché anche io, a furia di essere del mondo e di vivere come tutti, mi ritrovo spesso a sentire Gesù estraneo alla mia vita e anche io ho bisogno di un po’ di tempo per tornare a sentire quelle note come mie. E allora, a quel punto, finalmente capisco che li devo “abbandonare” con il pensiero: adesso inizia la mia Giornata di inizio. E così canto senza vergogna, ascolto e, stranamente, seguo più di quanto abbia mai fatto, perché mi sento la responsabilità di essere serio con me stesso, in virtù della proposta che ho fatto ai miei studenti.

In questa storia non ci sono fatti eclatanti o grandi messaggi a fine serata, anzi, durante la messa una di loro mi aveva detto: «Doc, io non vado a messa da 15 anni». E l’amica: «Io non sono neanche battezzata, ma una volta ho fatto la comunione, andrò all’inferno?!». Non penso quindi di aver contribuito a convertire i cuori di nessuno. L’unico cuore che ha bisogno di essere risvegliato è il mio. Mentre ascoltavo le parole di Giussani, mi dicevo: «Io con questi ragazzi però posso dire di essere stato veramente libero». Ascoltando i miei amici, la mia “autorità” non ho dovuto censurare niente di me davanti a loro. Anzi, ho potuto guardarli come avrei sempre voluto. Riuscivo a guardare me in unità con ciò che vivo. E così ho capito anche l’importanza di invitare qualcuno alla Giornata di inizio. Non tanto per chi inviti o per la risposta che puoi avere, ma per come dentro di te può lavorare quella proposta per la tua vita. Se è vera per te, non teme nessuna obiezione.

Alla fine della giornata, per cercare di coinvolgere anche i più riottosi del reparto, avevo organizzato una cena invitando anche i miei amici, la mia Fraternità e la gente con cui condivido la vita perché ci tenevo a fargli conoscere i miei ragazzi.
E li c'è stata una sovrabbondanza di libertà che ha fatto stare insieme gente che non avrebbe niente in comune, se non il fidarsi e vedere ciascuno nell’altro un’autorità per la propria vita. Perché come dice il Vangelo: «Anche la più umile delle elemosiniere può essere autorità per chi la guarda».

Luigi, Milano