Il Santuario di Oropa

«Un luogo in cui Gesù si prende cura di me»

Un weekend di convivenza al Santuario di Oropa, nel Biellese, per un gruppo di amici. C'è anche Mattia, che ci arriva affaticato per alcune vicende familiari e di lavoro. Eppure, basta poco perché «il Mistero torni a bussare alla tua porta»...

Questo è il secondo anno in cui ho deciso di andare ad Oropa con il gruppo di Scuola di comunità guidato da Claudio Bottini. Quando mi è stato proposto, ho detto subito sì per la bellezza che ho incontrato l’anno scorso e per la preferenza su di me che ho percepito. Nella settimana precedente, tuttavia, alcuni fatti mi hanno scosso al punto da farmi quasi dimenticare le premesse iniziali.

A lavoro ho potuto sperimentare, ancora una volta, tutta la mia impotenza e la mia fragilità, per esempio di fronte ad alcuni esami radiologici di giovani con tumori molto estesi e difficilmente trattabili. Non potevo fare nulla, se non guardare che succedeva.

In più, a casa il rapporto con una persona a me molto cara si sta facendo sempre più impegnativo, perché noto su di me che spesso riduco il voler bene al tentativo di sistemare le cose, ogni singola cosa della mia vita, dalla vita post-specializzazione a dove buttare i fondi del caffè. È stancante, e quasi soffocante in certi momenti.

L'Angelus nella nebbia davanti al Santuario

Quando sono arrivato a Oropa, quindi, avevo una ferita apertissima: vedevo in me un grande bisogno di essere, ancora una volta, riafferrato e riabbracciato. Quando percepisci questo e sei quasi inerme rispetto a quello che ti accade, il Mistero ti viene a bussare alla porta: nell’omelia della messa di Ognissanti don Michele, il rettore del Santuario, ci ha ricordato che «per essere santi non occorre essere perfetti o bravi ma essere innamorati di Cristo». Una rivoluzione, per me: il problema della vita non è una questione di performance o di riuscita, ma di vivere quel che ti è dato.

A partire da queste parole ho ripreso a desiderare di vivere con intensità quel che mi accadeva e a cercare di intercettare la risposta al mio desiderio. E sono stati tre giorni di una eccezionalità pazzesca. Mi ha commosso, nell’assemblea iniziale, sentire Claudio citare don Giussani rispetto alle difficoltà della vita quotidiana: è nello scandalo delle cose di tutti i giorni che Dio ti richiama. Non solo, ci ha lasciato anche uno strumento potentissimo: la Madonna, per guardarla e chiedere la semplicità del cuore necessaria per cogliere il Mistero nei rapporti, negli incontri, nei gesti che avremmo fatto.

L’incontro con Alessandro del progetto Operazione Colomba, nata in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII, ha richiamato tutti al tema della condivisione: ci ha raccontato della sua vita in Libano, nelle tende con i profughi siriani, condividendone i bisogni, dalla casa alle medicine, alla semplice compagnia. Mi ha sorpreso riscoprire nel suo racconto che, in fondo, il mio desiderio è lo stesso di quella gente: essere guardato come uomo.

Nonostante le “contraddizioni”, come la nebbia durante la gita o lo scoprirsi disattenti durante la proiezione di un video di don Giussani, nulla è bastato a spegnere il desiderio di riconoscere Gesù in ciò che mi stava davanti e in chi incontravo, tanto da accorgermi di quanti, tanti, hanno il mio stesso desiderio.

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Nell’assemblea finale mi ha colpito la paternità con cui don Michele ci ha sfidati. Sono emerse tantissime cose rispetto agli ultimi giorni e alla vita di ciascuno di noi, e alcune in particolare mostravano cosa voglia dire prendersi cura di sé, ovvero, avere a cuore Chi ci ha presi. Ecco, il movimento è quel luogo dove il Mistero si prende cura di me. Solo a partire da questo è possibile guardare gli altri, non solo chi è salito con me ad Oropa, ma soprattutto i miei pazienti e i rapporti più cari.

Mattia, Milano