Un sorriso dietro la mascherina

Il lavoro in un Pronto soccorso di Roma. L'allarme per il primo malato di Coronavirus. Benedetta ripensa alle parole di Carrón sul Corriere della Sera e a quel "metodo" che vale per tutti: «A sostenerci non è l'intelligenza o il coraggio, ma una presenza»

Eccomi qui a descrivere la giornata di un medico di Pronto soccorso nell’epoca del Coronavirus.
Arriva il primo paziente positivo. Che fare? Avverto tutti di isolarsi, di proteggersi, e pensare a tutti i contatti avuti. Ma in un respiro (sebbene attutito dalla mascherina) penso a quello che ho letto qualche sera prima nella lettera di Julián Carrón al Corriere della Sera: «Che cosa vince la paura in un bambino? La presenza della mamma». Questo “metodo” vale per tutti. È una presenza, non le nostre strategie, la nostra intelligenza, il nostro coraggio, ciò che mobilita e sostiene la vita di ognuno di noi.

E inizio veramente a dire: «Io sono viva qui». Non è un’opera di auto convincimento, ma la realtà. Inizi a sorridere davanti al paziente positivo, senza trattarlo come un appestato. Ma come uno che ha bisogno come tutti gli altri.

Sorrido con gli occhi, perché sono nascosta dalla mascherina. Ma il cuore è lieto perché non sono sola, mai. Ho nel cuore la certezza che qualunque cosa succeda è pensata per me, è fatta per me. È una Presenza.

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Questo mi libera, mi fa respirare perché non sono solo felice, ma mi sento voluta bene e preferita. Sono certa che qualunque cosa mi succeda durante la giornata, dalla mattina quando mi sveglio, fino a sera quando metto a letto mio figlio, sia per me.
Tutto è per me, e me ne accorgo nell’impatto con la realtà. La risposta che ha colmato il respiro oggi è stata: «Eccomi sono qui».
Benedetta, Roma