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«L'inaudita scoperta» di tornare tra i banchi

Insegnante e mamma, la sera prima della riapertura delle scuole. Tutto è pronto, «sembra quasi normale». Invece la vita è cambiata negli ultimi mesi. Cosa può riaccendere l'attesa di un nuovo inizio?

Comincia un nuovo anno scolastico. Sono un’insegnante di scuola media e una mamma tripartita. Ho un figlio che comincia le superiori in un’altra città, una figlia a scuola nel corridoio vicino al mio e un’altra al piano di sotto. Prepariamo gli zaini, domani si va. Così sembra tutto normale, intenso, ma normale. Però a febbraio è successo che da un giorno all’altro è cambiata tutta la vita, è cambiato il mondo. In pochi giorni si è chiuso tutto, strade, regioni, stati, spariti anche i nonni, perché in un’altra città. Sguardi smarriti, deserto, paura, amici malati, anche gravi.

Tutto chiuso, ma la scuola no. Ai miei ragazzi sono sparite le gambe e sono apparsi tutti sullo schermo del mio computer. Di schianto sono entrata nelle loro case e loro nella mia. Anche solo per dire: «Ci sono! Non temete». E sulle fondamenta di una scuola sparita abbiamo costruito qualcosa di totalmente nuovo, insieme. Ho lavorato tantissimo, a tutte le ore del giorno e della notte. Ho lavorato talmente tanto che se ne è accorto anche mio marito che di giorno non c’è mai. E anche i miei figli hanno lavorato tantissimo. Il primogenito ha preso la licenza media in camera sua. Ora è un piccolo giovane uomo. Come gli alunni che ogni anno da quasi vent’anni licenzio alla fine degli esami. Niente di meno. Forse qualcosa di più. La mia figlia di mezzo ha finito una prima media faticosa, ma affascinante. Ha sofferto, gli amici mancavano come l’aria, ma sia ingegnata e ha vinto: ha costruito. La piccola, in seconda elementare, si è gustata tutto ciò che poteva arrivare. Il panico non è mancato, ma eravamo insieme, ognuno indaffarato e preso dalle sue attività, ma insieme. Per noi il mondo non è crollato.

Ora la scuola riapre. A giugno, in realtà, era già accaduto per alcuni, con un centro estivo. E anche io ci ero tornata. Stanchissima, ma con un grande desiderio di rimettere in gioco tutto, in un edificio semivuoto, tra mille attenzioni e tensioni. Ma i ragazzi c’erano. E con le gambe. Poi, alla fine di agosto, di nuovo in pista con tutti i colleghi per preparare l’anno nuovo. Una meraviglia, anche senza abbracciarsi. Solo incontrarsi. E guardarsi negli occhi, come abbiamo imparato a fare in questi mesi.

È stato, ed è oggi, un tornare a casa, anche se in fondo non ci siamo mai lasciati. Io sono fortunata: la mia scuola per me è una casa. Piena di persone con un enorme desiderio: ricominciare. O meglio, gustare tutto il nuovo insieme ai ragazzi. Mi torna in mente questo “spillo” del Vangelo, questa puntura: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Occorre ritrovare questa semplice certezza. La mia vita complicata è costruita su questa certezza semplice.

È arrivata la sera prima del primo giorno di scuola. Quest’anno è strana: sono già stanca, la sensazione è quella di non avere mai smesso di lavorare. Guardo gli occhi dei miei figli. La mia speranza. Trepidano, ma non temono, sono certi di una certezza più grande della mia. Mi immergo nel loro entusiasmo. E torna l’attesa anche per me.

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«È notte, al solito. Provi la gioia che adesso andrai a letto, sparirai e in un attimo sarà domani, sarà mattino e ricomincerà l’inaudita scoperta, l’apertura alle cose». Pubblico questo pensiero di Pavese sul mio stato WhatsApp, come fosse la parete del mio frigorifero su cui appendo pensieri che mi incuriosiscono. Un amico mi chiama e per dirmi che l’ho colpito. Chi l’avrebbe mai pensato! In questo gesto c’è la sintesi di questi mesi e di questo nuovo inizio: un volto mi sveglia, la realtà mi spiega a me stessa. Incredibile. E allora imparo di nuovo che il Buon Dio mi dà sempre circostanze che posso portare. Ma non da sola.

Maretta, Varese