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Scuola al via. Cambio di programma

Dopo anni di insegnamento in cui pianificava tutto, la scossa del Covid. E ora che l'anno scolastico riparte Luísa Costa Cabral, insegnante a Lisbona, fa i conti con quello che ha scoperto. E che non vuole perdere. Da Tracce di settembre
Paolo Perego

«Pedro, dove sei? Non ti sento. Antonio? C’è?». Uno per uno: «Non avevo altra preoccupazione che stare con loro», racconta Luísa Costa Cabral, insegnante al biennio che, per capirci, in Portogallo accorpa la quinta elementare e la prima media. “Altre preoccupazioni”: sembra banale. Ma non per lei. «Metodica, precisa. Di solito, a luglio ho già il programma definito e pronto per l’anno successivo. Ne ho bisogno. In dodici anni di insegnamento è qualcosa che mi ha sempre fatto stare tranquilla». Perfino gli imprevisti sono sempre stati previsti: «Controllabili, quanto meno».

Il grande Colégio de São Tomás di Lisbona è stato chiuso dopo che, proclamata l’emergenza un lunedì di marzo, il mercoledì successivo alcuni studenti erano risultati positivi al Covid. «Ci siamo trovati con tutti gli insegnanti. Bisognava organizzare la scuola a distanza. E abbiamo cominciato subito, nel mentre, a mandare materiali di lavoro ai ragazzi». Eccolo, l’imprevisto. Ma, stavolta, fuori da ogni possibile controllo: «Il punto è che prima, dopo una gita magari, sapevo sempre da dove ripartire. Tutto pianificato. Invece così… Qualcosa doveva per forza cambiare in me», dice oggi alla vigilia del nuovo anno, parlando di quello che ha scoperto e di cui non vuole più fare a meno.
Anche a Lisbona, con i nuovi contagi che non sembrano diminuire al momento, il futuro della scuola, nonostante la riapertura sia “domani”, è incerto. Ma l’esperienza vissuta la fa guardare avanti fiduciosa, pescando nell’esperienza fatta nei mesi scorsi.

Luísa Costa Cabral

Poche scuole avevano adottato la didattica a distanza. «Il Governo aveva predisposto delle lezioni in televisione, mentre noi avevamo scelto di stare con i ragazzi». Era partita anche una campagna – iPede, «io chiedo», che, pronunciato, ricorda il nome del famoso tablet – per recuperare strumenti per chi non li aveva, «considerato che da noi, su più di mille studenti, circa il 20% viene da famiglie modeste e frequenta con borse di studio». E via, si è cominciato, un passo alla volta, fino ad arrivare a quattro ore al giorno più qualche collegamento al pomeriggio.

«Davanti ai ragazzi, in video, mi sono scoperta stranamente tranquilla. Non avevo la sicurezza dei programmi, ma mi interessava solo il rapporto con loro. Ero stupita di me stessa». Da dove veniva questa serenità? «Ho scoperto che il legame con loro, quello per cui normalmente tutto si gioca nelle ore in classe, per cui ti dai tutta, perché non puoi essere con gli studenti a casa o a ricreazione, non è qualcosa che puoi organizzare a tavolino con un programma. Viene fuori solo nella misura in cui io sono rapporto con qualcosa d’altro».

La chiave per ripartire ora è tutta in questa scoperta, avvenuta nel tempo e realizzata dopo mesi di lockdown: «Analizzare la situazione o guardare i numeri dei contagi non dà la tranquillità». Mentre prepara il nuovo anno, ripensa alla lettera di Julián Carrón al movimento di CL, all’invito a guardare chi viveva in modo più interessante la situazione: «Nei mesi scorsi hanno cominciato a farmi compagnia storie di gente che affrontava le circostanze in maniera diversa. E poi il Papa, con i suoi gesti. E alcuni amici. Così, quando a giugno ho rivisto i ragazzi per le pagelle, ho capito che quel rapporto era stato salvato. Li avevo guardati come mi sentivo guardata e accompagnata io, nel mio seguire la Chiesa e il movimento». E questo riapre la partita adesso. «Il rapporto che ho con loro in classe, come un sottomarino, può rimanere sotto il pelo dell’acqua, ma non sparire. Può ridursi all’essenziale, ma senza annullarsi perché assume una diversa qualità o forma». È chiaro che la scuola in presenza è un’altra cosa: «Dobbiamo tornare in classe, e non vediamo l’ora di farlo. Ma qualunque modalità sarà parte dello stesso cammino che siamo chiamati a percorrere. E che riguarda proprio questa possibilità di crescita e di rapporto».

Non è stato semplice, spiega ripensando ai mesi passati. Tanti ragazzi in streaming facevano altro, chi guardava video, chi si distraeva, chi disturbava, chi non aveva la webcam… Qualcuno alle prese con gatti o fratellini da cullare, perfino. «Ma nessuno si è perso». Racconta di una mamma - Luísa ha chiamato fin da subito tutti i genitori - che era preoccupata per il figlio, che non seguisse: «Le ho detto che invece era intervenuto a lezione, che aveva condiviso con i compagni il dolore per lo zio morto di Covid. E lei si è commossa». Con un altro ragazzo ha dovuto prendere dei provvedimenti disciplinari per una serie di fatti: «Lui avrebbe voluto cambiare scuola, ma io gli ho spiegato che avevo fatto delle scelte perché volevo il meglio da lui. E ha accettato. La sua mamma mi ha chiamato, dicendo che aveva pianto, ma che si era rasserenato. Si era sentito guardato. A dieci anni, come è possibile? E tanti come lui: hanno visto, riconosciuto qualcosa di questo rapporto». Anche con i colleghi: «Non avere la sala professori dove confrontarsi… Spesso accade incidentalmente. Invece, li ho cercati al telefono con una libertà nuova, con l’unico problema di poter vivere fino in fondo quello che stava accadendo».

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Come se avesse scoperto di più se stessa, aggiunge: «L’anno che deve cominciare è un’incognita. Si riapre tra poco, e stiamo lavorando a tutti gli scenari possibili. Sto ancora preparando il programma, ma non è più come prima. Come ho sentito dire una volta: il dono della storia cambia sempre i programmi. È una sfida entusiasmante». Lo stesso entusiasmo, dice, che ha visto in una ragazzina di Gioventù Studentesca, al nono anno, l’ultimo delle medie, la prima superiore in Italia. Ora comincerà il liceo. «Un’avventura molto attesa, in genere, dai ragazzi», dice ancora Luísa: «Ma lei, mentre era a casa da scuola, mi ha scritto: “Io non voglio vivere aspettando che le cose cambino. Voglio godermi quello che vivo”». L’opportunità è adesso. «E non è un problema il “non aver vissuto” prima, come in qualche modo accadeva a me. Si può cominciare adesso, si può sempre».