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Catania. Cosa non fa spegnere una webcam?

La dad, tra progetti nuovi e insegnamento ordinario. Tutto per seguire ciò che accade. E vedere i frutti «di questa strada». Come racconta una prof delle superiori

L’esperienza di questi mesi di insegnamento, in cui, come tutti, ho dovuto sperimentare la fatica della dad, è stata tra le più entusiasmanti degli ultimi anni. Ho accettato di collaborare a diversi progetti e all’insegnamento di Educazione civica non come un problema in più, ma con la certezza di trovare una possibilità per comunicare una modalità di vivere il reale ai ragazzi e ai colleghi coinvolti. Per esempio, ho trattato il principio di solidarietà nella Costituzione, studiando gli aspetti più giuridici proprio per serietà verso la disciplina, e come esemplificazione ho organizzato dei collegamenti con dei volontari del Banco Alimentare. Abbiamo continuato nelle altre lezioni paragonando i contenuti delle varie discipline con le esigenze e la fatica del momento presente. Il loro entusiasmo è cresciuto, tanto che mi hanno chiesto di vederci più spesso, nel pomeriggio.

Oggi, in una decina, continuiamo a incontrarci - quindi non è lo schermo il vero problema se addirittura scelgono di collegarsi quando potrebbero non farlo - e mi accorgo che hanno voglia di parlare e di essere ascoltati, ed è sorprendente che tutto ciò è cominciato prendendo sul serio quei quaranta minuti di lezione a distanza. Una di loro ha scritto un articolo sul giornalino online della scuola per raccontare agli altri compagni ciò che sta scoprendo. Tanti hanno aderito al mio invito di partecipare al prossimo raggio (l’incontro periodico tra i ragazzi di Gioventù Studentesca, ndr) per raccontare la loro esperienza.

Giocarmi interamente nelle circostanze, seguire ciò che accade coinvolgendomi con loro, questo non mi fa perdere nulla. Che questa è la strada mi è stato evidente anche in un’altra occasione. La coordinatrice di una classe aveva inoltrato sulla chat del Consiglio di classe un sms dei ragazzi che lamentavano la fatica del periodo chiedendo un minor carico di compiti. Tutti i colleghi avevano chiuso velocemente la richiesta dando la disponibilità ad andare incontro alla loro esigenza perché «sono bravi ragazzi». All’inizio non ho dato peso alla cosa: io non assegno compiti, quindi non riguardava me. Poi, però, mi sono venute in mente le facce spente che avevo notato all’ultima lezione e ho ripreso con loro l’argomento. Ne è nato un dialogo appassionante, sfidandoci a capire cosa veramente vogliamo, di cosa abbiamo veramente bisogno. Solo della vita più facile? Di avere meno compiti? Che passi la pandemia? O qualcosa che ci dia gusto in ogni circostanza? Le telecamere non si sono spente neanche per un attimo.

Anche i ragazzi di Gs, da qualche tempo, stanno cominciando a sentire gli effetti della lontananza. Alcuni hanno cominciato a non collegarsi più al raggio. Partendo da un mio desiderio, ho proposto loro di leggere insieme L’abbraccio di Mikel Azurmendi, per farci compagnia attraverso le sue parole. Non so se questo gesto può rispondere alla loro fatica, ma so che sta aiutando me a ritrovare il gusto di stare con loro proprio quando mi sembrava di averlo perduto nella mia partecipazione a gesti, come ad esempio il raggio.

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Credo di aver compreso che quando pensiamo che lo scopo sia farli partecipare a dei gesti restiamo delusi e soffocati, mentre l’unica cosa liberante è vivere la relazione con loro comunicando lo sguardo nuovo sulle cose che continuiamo ad imparare.
Adriana, Catania