L'incontro nell'Aula Magna della Statale di Milano

Università. «Tocca a me»

Un incontro con il rettore della Statale e con l'arcivescovo Mario Delpini per gli studenti degli atenei milanesi. La riapertura, la sessione estiva alle porte, l'attesa per il nuovo anno: «Come vivremo insieme?»

La sessione è alle porte, arrivo di corsa dalle ripetizioni dell’esame che fra poco devo dare. Mi rendo conto che manca poco all’incontro che si sarebbe tenuto in Aula Magna, un dialogo tra il rettore dell'Università Statale di Milano, Elio Franzini e monsignor Mario Delpini, arcivescovo della città. Arrivo con poca voglia. Dopo le varie e dovute presentazioni, prende parola il Rettore, che propone una domanda riprendendo il titolo della prossima biennale di Venezia: «Come vivremo insieme?». L’Arcivescovo non si pone in modo semplicistico, ma rincara la dose chiedendoci: «Quale speranza c’è per il futuro?». Proseguendo consiglia di non porci al di fuori della realtà facendone una diagnosi la cui ovvia risposta sarebbe che il mondo è sbagliato e malato. Ma siamo qui a chiederci: «Chi guarisce questo mondo?». Ci invita poi a prendere le nostre responsabilità in mano di non rimanere nella posizione di chi dice «non tocca a me».

Cinque studenti dialogano con l’Arcivescovo a partire dal suo Discorso alla Città del 4 dicembre scorso. Le loro domande sono molto interessanti: c’è la fatica dello studio, la coscienza del proprio limite, l’entusiasmo della ricerca. Mi ha stupito come ci abbia presi sul serio, come non abbia voluto chiudere le domande ma, anzi, rilanciarle. Un uomo che ci tratta da uomini e donne e non come bambini.

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Tuttavia, esco dall’Aula Magna non del tutto convinto, forse mi sono perso qualcosa, anche perché incrocio Pietro che, con un sorrisone, inizia a dirmi di quanto sia stato bello l’incontro. Io gli chiedo perché e lui mi risponde: «Mi ha colpito quando si diceva che studiare da cristiani è diverso perché si ricerca in ogni pezzetto l’Uno, il Vero». Io in quel momento mi sono fermato e mi son detto: «Questo è proprio quello che io cerco!». Rileggendo velocemente gli appunti, mi accorgo della concretezza delle parole del Vescovo, e cioè che esiste un modo per vivere lo studio che sia appassionato al particolare. Questa cosa mi rilancia perché il rischio è spesso di perdersi nelle “cose da fare”: i manuali da leggere, gli schemi, le ripetizioni… Ma ciò che conta è cogliere, aldilà della materia in sé che ogni tanto appare arida, capire cosa lo studio stia dicendo nella mia vita; cosa c’entrano le cose che sto studiando ora che, talvolta, mi appare tutto così poco concreto, poco attaccato alla realtà dei fatti, cosa c’entrano con la mia vita, con i volti che vedo passare mentre lego la bici appena arrivato in università, con la mia famiglia, con la pandemia, con il fatto che la mattina mi posso svegliare male e tenere il muso tutto il giorno? Io credo sia fondamentale per me capire il nesso tra queste due realtà e il continuo rilanciare dell’Arcivescovo è un altro tassello che si aggiunge a questo percorso. E quindi la domanda “come vivremo insieme?” non è riferita ad una comunità generica, ma è riferita a me innanzitutto: «Come vivrò insieme a queste domande?».
Gabriele, Milano