Ostuni, la "città bianca" in provincia di Brindisi.

Ostuni. «Non ripartiamo da zero»

Una settantina di giovani da tutta la Puglia, per un weekend insieme nella "città bianca". Dai timori iniziali alla sorpresa di una amicizia che arriva fino al Nebraska. E cosa succede quando si torna a casa?

«Alessandro, tu e tua moglie avete per caso intolleranze alimentari? Così possiamo preparare al meglio i pranzi e le cene per i giorni insieme». È l’apparentemente banale domanda posta da Gianluca, segretario della nostra convivenza a Ostuni. «Io, in quella domanda», dice Alessandro, «avevo percepito fin da subito un’attenzione “strana” alla mia persona. Mi aveva aperto a una grande curiosità su quale fosse l’origine di una premura così».

Abbiamo trascorso un weekend insieme, con una settantina di giovani dalle varie comunità della Puglia, appena laureati, giovani coppie... Per qualcuno, all’arrivo in albergo, non c’è nulla di scontato. «Che ci faccio qui?», si chiede Dori, sentendosi «come sospesa»: il pensiero dei bimbi lasciati a casa, il senso di smarrimento e di inadeguatezza. L’impaccio è presto vinto. Non da un ragionamento, ma da una vita che inizia a zampillare nei gesti e nei volti degli altri: «Tutti mettevano a tema la loro vita», racconta lei: «Le preoccupazioni, il lavoro, i figli, il rapporto con il marito, i dolori... Tutto. Con una sincerità e con una verità che non mi aspettavo, nessuna impalcatura, tutto profondamente umano». Così vero da non risparmiare nemmeno un centimetro di dramma, perché, come racconta Lucia, «più grande è la mia ferita, la mia incapacità, la mia piccolezza, più intenso è l’offrirsi di Cristo a me, perché il mio sì diventi immediato».

Con il passare delle ore, è evidente che qualcosa di nuovo - familiare, perché desiderato, e allo stesso tempo inedito -, sta accadendo. La gratuità e la gentilezza nell’essere accolti, la passeggiata nella “città bianca”, tra la bellezza discreta delle chiese e l’imponenza struggente degli ulivi, verdi, immersi tra l’azzurro del cielo e del mare. Eppure la somma di questi fattori non riesce a dare piena ragione di un “totale”, che risulta inafferrabile. «In quei giorni», racconta Francesco, «mi sono reso conto di essere stato voluto bene per come ero in quel momento». Lui è infermiere in una struttura sanitaria dove ogni giorno vede prevalere la cultura dello scarto, in un contesto in cui «bisogna essere performanti».

Ma il mondo della performance e delle misure non è un fuori di noi: è una sfida dentro di noi. Dice Marianna: «Alla Giornata d’inizio anno, ero arrivata confusa e arrabbiata, perché il cinismo che ho sempre visto nei miei colleghi stava prendendo anche me». Un lavoro cominciato qualche anno prima, con l’idea di dover «educare» gli altri, aveva finito per fagocitare lei. Ma un inizio di svolta arriva già nel corso della Giornata d’inizio: «Ascoltando la lezione mi ero sentita liberata, perché avevo notato che ho una grazia rispetto ai miei colleghi: io ero lì, ferita, scandalizzata, ma anche bisognosa e attenta, desiderosa di non soccombere nella mia circostanza lavorativa», fino a sussultare quando la voce di don Giussani dice che «le nostre cadute sono permesse da Gesù affinché possiamo riconoscerLo». È questo giudizio che si è approfondito nei giorni ad Ostuni: «A colazione, un amico, ascoltando la mia esperienza lavorativa, mi ha aiutato a capire che la vera novità che posso portare nel mio posto di lavoro sta nello sguardo di cui io per prima sono oggetto». In un “luogo”, come spiega Luca, «dove poter essere guardato senza dover censurare nulla» e, rimanendo nel quale, si inizia a capire cosa sia la sequela, come afferma Mariella, all’assemblea: «Per me in questi anni seguire Costantino (visitor della Puglia) non ha coinciso con il condividere un suo ragionamento, e neanche appena con il guardare nella sua stessa direzione, quanto con il vivere un rapporto che, ridestandomi, mi rende più libera di stare di fronte alle circostanze quotidiane, anche drammatiche». E questo, come dice Salvatore, «può accadere solo davanti a una presenza in carne ed ossa che ti dice “tu puoi amare tutto di te”: da questo nasce un’ipotesi nuova davanti alla realtà».

I frutti di questa sequela non conoscono limiti di tempo e di spazio. Come ha testimoniato sabato sera Martina, memor Domini, in videocollegamento dal Nebraska, una persona felice, che si lascia fare da un Avvenimento che accade di continuo nella sua vita. «Dopo averla ascoltata», continua Dori, «ho cominciato ad accorgermi che io, in questi nove anni di matrimonio, ho sempre e solo pensato a gestire la vita degli altri, i figli, la casa, il marito, senza mai più domandarmi cosa desidero. E invece ora ho cominciato a chiedermi: “E io? Chi sono io? Cosa desidero io?”». Una novità che accade in te, o che accade in un altro e che investe, quasi per osmosi, la tua vita, come per Piero: «Durante l’assemblea mi sono commosso. In tutti gli interventi era evidente come l’urto della realtà facesse venire fuori tutta la nostra umanità, suscitando un bisogno irriducibile a cui solo Cristo può rispondere. Mi ha commosso vedere come il Mistero prende iniziativa per rispondere e che questa iniziativa è già nell’emergere di quel bisogno». Poi domenica mattina, il regalo imprevisto del collegamento via Zoom con Carrón, che, dice Cristina, «ci ha messi subito in guardia dal pensare che una certa pienezza accada solo quando ci ritroviamo come in quei giorni, e che dopo torniamo a casa e torniamo in apnea».

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Il test non si fa attendere. Racconta Marianna: «Il lunedì mattina dopo la convivenza, entrando in azienda, guardavo il mio lavoro come il dono che mi viene fatto perché io possa essere educata, perché possa sentire su di me lo sguardo amorevole di un Altro». O Fabrizio, che è tornato «più affezionato, grazie a dei volti, e non solo a quei volti, ma a ciò che pervade lo sguardo di quei volti, ed evidentemente anche il mio». Piero, dopo la convivenza, raggiunge in ospedale il padre, in condizioni ormai critiche: «Sono stato diverse ore con lui, avvertendo in me tutta l’impotenza di non poter far molto e attendendo solo di poter rivedere il Suo volto». Quando sta per andarsene, «con tutte le sue poche energie, mio papà cercava di dirmi qualcosa. Con degli occhi che non dimenticherò mai, mi ha detto: “Vieni a trovarmi presto!”. In quell’istante ho avvertito l’identica vibrazione, inconfondibile, che mi era successa nei giorni a Ostuni». Uscendo dall’ospedale, pensa a quanto gli è successo: «È una verifica della verità che ho riguadagnato in convivenza. Questo è il contributo che il carisma dà alla mia vita: mi fa “essere”, e mi permette di cogliere la possibilità di vita che c’è in ogni circostanza. La vita è più vita». È accaduto Qualcuno ad Ostuni. Per questo, come aveva detto Salvatore, salutando tutti alla fine della convivenza e riaprendo la sfida: «Non ripartiamo da zero».

Salvatore e gli amici della Puglia