(Foto: Archivio Banco Alimentare)

Colletta 2021. «Il cuore chiede di dare tutto»

Cremona, Milano, Gravina di Puglia. Tre racconti della giornata di raccolta promossa dal Banco alimentare. La sorpresa di chi, da volontario, ha imparato il valore dell'iniziativa. Per sé e per gli altri

Giornata della Colletta alimentare, nello stesso minimarket di quartiere dove vado da dieci anni. Saman entra la mattina ciondolando, giubbotto aperto perché troppo stretto, cuffie sulle orecchie, si aggiusta la mascherina, occhi semichiusi, e alla proposta della raccolta non ci degna di uno sguardo.
Rientra nel pomeriggio, e questa volta è “costretto” a sentire la proposta fatta a un’altra persona, ma è bravo e riesce ancora a schivarci.
Torna poi alle 18,30, un’ora prima della chiusura e chiede: «Ma è per poveri? Tutto per poveri?». Certo che è per i poveri, una parola che un po’ “meschinamente” non abbiamo usato per tutta la giornata (forse perché i veri poveri siamo noi con la pettorina). «Cosa devo comprare?», domanda Saman. E ancora la mia meschinità si ferma alla prima valutazione, pensando: sei sulla soglia della povertà, non ti chiedo di comprare l’olio, o la carne in scatola. E gli dico: «Va bene anche una scatola di legumi». Poi le immagini del volantino arrivano dove la lingua non riesce e chiariscono tutto. E penso: noi ci accontentiamo di una scatola di legumi, perché è il gesto che conta.
Entro tra gli scaffali, perché sta arrivando il furgone e voglio completare due scatoloni. Saman mi ferma con le manone piene di tonno, pelati, legumi e mi chiede: «Bastano? Devo prendere ancora?».
Ricasco nello stesso pensiero: come “ancora”? Hai preso troppo, non era necessario, non vedi come sei messo? E lui allunga le mani a prendere un’altra scatola di fagioli. Lo rassicuro che va tutto benissimo, certo meglio del sapone di Marsiglia della signora di poco fa. Lui mi racconta che ha quattro figli in Romania, che non vede da mesi e lui questo gesto lo fa perché «Dio vede tutto. Il mio cuore, anche quando ho poco, mi dice di dare tutto.». Non ha lavoro, gira in bicicletta, ha il cuore spezzato al pensiero dei figli, ma lui è certo che Dio lo vede, e che farà le cose per bene, e che tutto gli sarà restituito. A me, certamente, ha già restituito qualcosa.
Paolo, Cremona


Alla Colletta invito i grandi del liceo e i piccoli delle medie. Particolarmente entusiasti sono i ragazzini di prima media che però si “spengono” quando gli comunico che non posso portarli al supermercato perché non hanno compiuto dodici anni. Quelle facce deluse per la promessa mancata non mi hanno lasciata tranquilla, dovevo inventarmi qualcosa che pareggiasse l’esperienza e replicasse lo stesso coinvolgimento pratico. Nel cortile della scuola, guardando i genitori della primaria in attesa dell’uscita dei figli mi viene l’idea. Chiedo alla preside se posso sfruttare quel momento per coinvolgere i miei ragazzi e la trovo favorevole. Li invito a fermarsi giovedì pomeriggio per inventarci un banchetto che pubblicizza la Colletta del sabato e informa i giorni in cui saremo nel cortile della scuola ad aspettarli.
Ci confezioniamo delle pettorine da volontario che le ragazze personalizzano, uno le completa con il logo del Banco, c’è chi scrive i cartelli con la lista dei prodotti, da mettere sui nostri improvvisati scatoloni di raccolta e chi l’avviso di invito per tutti. Ci prepariamo e sono lì trepidanti sotto la pioggia a raccontare cosa ci ha mossi. Riccardo mi ringrazia «per l’opportunità!». Come se avesse atteso da tempo una cosa così.
Il secondo giorno, si aspettavano grandi cose e invece nulla, a un certo punto lo stesso Riccardo porta due sacchetti che ha fatto comprare alla mamma e sembrava Natale! Non sapevano più come disporli sul tavolo per metterli in bella mostra.
Nei quattro giorni di fine novembre abbiamo raccolto nove scatoloni di prodotti, consegnati a Giovanni responsabile del Banco che è venuto a scuola ed è rimasto a guardare con quale cura i ragazzi riponevano l’olio e le bottiglie mettendo dei sacchetti e della carta per non farli rompere. E io? Commossa. La stessa promessa che ha mosso me, ha mosso loro.
L’ultimo giorno ho cucinato dei biscotti (io che non cucino mai…) e li ho offerti ai ragazzi insieme al the della macchinetta della scuola… Tutti invitati alle nozze di un principe.
Daniela, Milano

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Qualche settimana fa, leggevo sul sito di CL un articolo riguardante la Colletta alimentare, dove si diceva che quando parliamo di poveri, parliamo del «povero della porta accanto», del dirimpettaio di pianerottolo. Ho pensato: dunque, anche alcuni miei studenti, in particolare di una terza, che ormai da un anno aiuto con qualche collega, fornendo alimenti, indumenti, libri di testo e materiale scolastico. Ma la verità è che in fondo è come se questo donare non bastasse mai, perché il bisogno di questi ragazzi è così grande ed infinito, che nemmeno dare tutto quello che materialmente si può basta a soddisfarlo.
Per cui, mentre ero nella loro classe, e uno di quelli più disastrati stava accasciato sul banco, schiacciato dal dramma della sua famiglia, mi è balenata l’idea di portarmeli a fare un paio di ore di lezione alternativa: cioè la Colletta alimentare in un negozio sul corso principale, in prossimità della mia scuola. La dirigente ha subito colto che la proposta, per quanto particolare, poteva portare a qualcosa di buono. E così con due colleghe, ce li siamo portati a sperimentare questa nuova didattica. I ragazzi non volevano più andare via, e non banalmente per perdere altre ore di lezione, ma per la bellezza di quello che vedevano. Due di loro hanno chiesto a una collega di andar con lei a fare un’altra ora, ed altre due sono tornate a farsi tutto il pomeriggio con me sino alla chiusura.
Con quanta energia, con quanto desiderio ed impeto fermavano gente, riempivano e chiudevano scatoloni. Sono stati così travolgenti che in quelle due ore ci siamo trascinati dietro preside, docenti, genitori, nonni… chiunque è venuto a donare qualcosa.
A mezzanotte, Romina, una di loro, mi manda questo WhatsApp. «Prof, mi scusi per l’ora però mi sono sentita e mi sento in dovere di dirle grazie, grazie perché prima di oggi io non sapevo dell’esistenza di questa esperienza, la ringrazio tanto per avermi fatto capire che le cose che diamo per scontato magari ad altri sono essenziali».
Lucia, Gravina di Puglia (Bari)