(Foto: Sincerely Media/Unsplash)

Alessandro, Chopin e il coraggio della vita

Lui è un ragazzone che le aveva sempre ripetuto di voler studiare solo Informatica. Lei una prof che sa scorgere nei suoi occhi una luce. «L’io esiste in quanto vive, ma vive davvero perché è guardato e amato»

L’anno scorso in Umbria i ragazzi e i prof delle scuole di secondo grado hanno vissuto otto mesi di lockdown. La mia Prima B era sempre presente, a telecamera accesa, quasi a voler dire al mondo che nessuno avrebbe potuto strappare il loro desiderio di esserci, di voler vivere a pieno quella scuola scelta e agognata. In classe con loro c’era anche Alessandro, più grande fisicamente della sua età con un vocione da quarantenne, schivo, a tratti burbero, che non faceva che ripetermi che Storia e Italiano non li avrebbe studiati, perché «non servono a niente, soprattutto a me che mi sono iscritto in questo Istituto solo perché voglio studiare Informatica». Tutto ciò che non fosse informatica non valeva la pena, «tranne l’Inglese che serve! Avoja se serve…». Dietro le sue parole provocatorie si scorgeva un disagio, ma non riuscivo a trovare la porta di ingresso.

A maggio, tornati in classe un giorno si avvicina: «Prof, tempo fa, a lezione ha citato Beethoven, ma a lei piace la musica classica?». Poche battute per dire di sì e per scorgere nei suoi occhi una luce. «Anche a te? Davvero suoni il pianoforte? Da quanto? Ci fai ascoltare qualcosa?».

Qualche settimana dopo ho chiesto al tecnico di portare in classe la tastiera dalla sala strumenti. Ho rischiato tutto seguendo la luce che avevo visto. Lui è rimasto stupito e, nel silenzio generale, si è alzato dal suo banco, stretto per la sua corporatura, e si è seduto davanti ai tasti. Gli alunni non capivano. Lo consideravano strano, erano abituati alle uscite eccentriche del suo dire, gli sguardi erano fissi su di me che non dicevo nulla. E poi ecco la musica. Perfetta. Eseguita senza spartito. Lui rapito. I suoi compagni incantati. L’ultima nota rimasta sospesa, seguita da un applauso prolungato che ha impiegato tempo a decollare dopo il silenzio.

Un po' di tempo fa a scuola c’è stato un evento con giuria teatrale e pubblico in sala. Alessandro - che ha iniziato a frequentare il Pon Teatro, insieme a me e a un esperto - ha suonato per la prima volta di fronte a quasi cento persone, il preside, alcuni prof, allievi e genitori. Mentre lo guardavo eseguire il suo brano di Chopin dal fondo della sala, mi commuovevo ad accorgermi di cosa sia un io. L’io esiste in quanto vive, ma vive davvero perché è guardato e amato.

LEGGI ANCHE – Se “salvare” gli altri non basta

Questo è vero per Alessandro con una storia familiare difficilissima da portare, come per me. L’io non si fa da solo, non si auto costituisce. Quando ha il coraggio della vita dice di una paternità che lo genera, di qualcuno che lo chiama per nome.
Alessandro quel giorno è stato questo per me. Autorevole compagno di strada nel non dimenticare che si genera solo quando si è generati.

Marta, Perugia