La gita nelle Dolomiti

Se la timidezza lascia posto allo stupore

La vacanza ad Auronzo di Cadore dei giessini di alcune scuole milanesi. Le tre Cime di Lavaredo, le testimonianze degli amici universitari, un qualcosa di "strano" che comincia ad intravedersi. Il racconto di Paolo

«C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?». Con questa domanda 170 ragazzi delle superiori di diverse scuole di Milano sono partiti per una settimana di vacanza ad Auronzo di Cadore. Difficile immaginare un insieme per certi versi più eterogeneo: Carducci, Berchet, Einstein, Galdus… Dal classico al professionale, alcuni che non vedevano l’ora di tornare in vacanza con gli amici del movimento dopo gli anni di pandemia, insieme ad altri che non sapevano cosa fosse “questa GS” a cui erano stati invitati.

Dopo una sosta sotto il triste muro della tragedia del Vajont, l’arrivo, le camere, la cena, la serata di canti e giochi per iniziare a conoscersi e poi a dormire, che l’indomani ci aspetta la gita in uno dei più bei posti delle Dolomiti: le Tre Cime di Lavaredo. E infatti la prima giornata è tutta dedicata a questa meravigliosa camminata… Se non fosse che la gita si presenta più lunga e faticosa del previsto e, per non farsi mancare nulla, il ritorno avviene sotto una pioggia battente per la quale molti non erano attrezzati. Così si finisce per tornare in albergo due ore dopo il previsto, stanchi e infreddoliti. La sera si decide di fare ancora qualche canto e andare a dormire presto e, proprio qui, comincia a intravedersi qualcosa di “strano”. In sala non si vedono volti arrabbiati o delusi per come è andata la giornata, anzi, alle prime note dell’inno della vacanza (a cui ogni giorno si aggiungeva una strofa con la presa in giro dei fatti salienti della giornata) si scatena l’entusiasmo. Gli occhi brillano. Quello che resta della gita “disgraziata” è l’aiuto che si è dato e ricevuto, le nuove amicizie nate lungo il cammino, la condivisione di uno spettacolo magnifico come della fatica. Cosa sta succedendo?

È quello che la mattina dopo ci aiutano a capire Sofia e Giovanni, due studenti universitari che raccontano la loro esperienza: l’incontro con una compagnia cristiana che li ha presi e cambiati, facendogli amare ancora di più ciò che stavano studiando. Il loro racconto è come se desse il nome a tante intuizioni avvenute nei primi giorni di vacanza, anche se quello che colpisce di più è l’entusiasmo e la disponibilità che mettono in campo con i giessini nei giochi del pomeriggio.

Ultimo giorno, seconda gita stavolta senza intoppi, che termina con la Messa in alta montagna davanti a uno spettacolare panorama, in attesa della festa finale della sera. Ormai è praticamente impossibile capire chi viene da una scuola o da un’altra, anche se il vero spettacolo sono le facce: la timidezza iniziale di molti ha lasciato la strada allo stupore e nessuno vuole perdersi neanche un istante di queste ultime ore insieme.

Lo dimostra l’assemblea di venerdì mattina: un’ora e mezza di interventi, senza pausa, dove i racconti di alcuni sintetizzano l’esperienza di tutti, come dimostrano l’attenzione, il silenzio e, talvolta, gli occhi lucidi. Come ha evidenziato alla fine don Andrea, in tutti gli interventi c’era un elemento in comune: un prima e un dopo. In mezzo un nuovo inizio che ha “colpito” tutti, anche chi magari non lo ha espresso a parole. Emma e Sophia potrebbero raccontare come queste persone, prima sconosciute, sono diventate immediatamente amiche, vicine, persone con cui essere se stessi senza bisogno di nascondere le proprie domande, le proprie paure, ma anche il gusto di sentirsi felici per delle cose banali come chiacchierare la sera o giocare insieme.

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Martino e Maria potrebbero raccontare come l’impegno nel preparare i canti fosse leggero, non solo perché piace cantare, ma perché la bellezza che si esprime con la musica rende le serate qualcosa cui tutti partecipano e che colpisce. Elisa e Pietro forse non parlerebbero, ma le loro facce esprimerebbero la gioia e la commozione di avere tanti amici, vecchi e nuovi, disposti a fermarsi per aspettarti in gita o per portare lo zaino di chi è stanco. Paolo e Laura si scambierebbero uno sguardo, per riconoscere immediatamente nell’altro che la storia iniziata nello stesso modo tanti anni fa non ha nessuna intenzione di finire e che il metodo del movimento funziona ancora. Eccome se funziona!
Paolo, Milano