Marco Cappato (Foto: ANSA)

«A chi appartiene la tua vita?»

Una domanda scritta sulla maglietta dell'attivista pro-eutanasia Marco Cappato e che tocca la vita di tutti. Daniele racconta la provocazione che è per lui. E la voglia di «comunicare a tutti che la mia vita parla di altro»

Mi sono imbattuto, sul sito del Corriere, in una foto di Marco Cappato, impegnato per la legge sull’eutanasia, con indosso una maglietta che recitava: «A chi appartiene la tua vita?».
Mi ha molto colpito ritrovare quelle parole, che ho sentito da Giussani e nella nostra storia tantissime volte, sulla maglietta di una persona che ha idee diametralmente opposte.

A quella domanda noi rispondiamo «Cristo», alcuni rispondono «non a me», altri rispondono «a me». Stessa domanda, risposte diverse. Mi colpisce che questo sia l’esempio più lampante che la domanda sulla propria vita tocca tutti, e che quindi, prima o poi, ognuno se la debba fare. Ancor più mi colpisce che, nel vederla indosso a chi lotta per l’eutanasia, mi introduce, quantomeno di reazione, una malinconia enorme e una voglia di comunicare a tutti che la mia vita parla di altro.

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Sto vivendo un periodo in cui è palese che la vita non è ultimamente “nostra” (il nonno di mia moglie morto improvvisamente, mio papà con un tumore), ma non solo perché non ne possiamo deciderne la fine, ma perché ogni persona, in ogni istante, è un bene. Lo abbiamo visto nella vacanza comunitaria che abbiamo fatto di recente, nella testimonianza di una realtà di accoglienza come La Mongolfiera, ma lo vedo anche con mia sorella disabile: le persone fragili ci parlano in continuazione dell’essere bisognose di tutto… A chi appartiene la loro vita? Per ora il cammino mi porta a rispondere: «A Uno che ti vuole bene, ultimamente bene!», perché ciò che ho visto generare, anche da situazioni drammatiche, non posso negare che abbia un’origine di bene. Il bene nasce dal bene.
Daniele, Milano