(Foto: Roberto Masi/Fraternità CL)

Udienza. «Chi te lo fa fare?»

Michele non era convinto di partecipare all'incontro di Roma. Poi si rende conto che «a 700 chilometri c'è un amico che mi aspetta». Il treno notturno, il cupolone all'alba e l'essere raggiunti nel «bisogno che vivi nell'istante»

Devo ammetterlo: all’inizio non ero tanto convinto di partecipare all’Udienza con Papa Francesco, ma la lettera di Prosperi sull’importanza di questo gesto mi ha fatto cambiare idea. Anche la frase di Marta rivolta alla sorella Maria, ricordata da padre Lepori agli Esercizi spirituali della Fraternità - «Il Maestro è qui e ti chiama» - mi ha fatto capire che, a 700 chilometri di distanza, c’era un padre, un amico che mi aspettava. Una guida sulle cui orme posso seguire il giusto cammino in direzione di Cristo, in questa fase storica del Movimento e della realtà che ci circonda.
Il viaggio non è stato dei più facili, perché ho dovuto prendere il treno notturno da Torino. Durante le tante fermate dell’intercity, nel dormiveglia, continuando a cercare la posizione giusta sul sedile, ho continuato a chiedermi che cosa mi spingesse - a 48 anni - ad affrontare da solo un viaggio così faticoso. L’ultima tentazione di rimanere a casa è arrivata da mia moglie: «Guarda che trasmettono tutto anche su TV2000… Chi te lo fa fare?».

Ma alla fine alle 6.30 di sabato sono arrivato a Roma e il cuore e le membra indolenzite si sono subito ritemprate alla vista del Cupolone dalla stazione di Roma San Pietro. Poi l’attesa per entrare nella piazza e il passo spedito per poter prendere i posti vicino alle transenne, nella speranza di poter vedere il Papa da vicino. In un susseguirsi carico d’attesa, ho partecipato alle Lodi e ascoltato i canti e la fatica pian piano e scemata fino a quando, vedendo passare, il Papa a poco più di un metro, tutta la stanchezza e la tensione si è sciolta in lacrime piene di gioia.
Le testimonianze e il discorso del Papa mi hanno aiutato a capire quanto il cammino personale e comunitario, anche se pieno di ostacoli e di prove, è comunque un percorso di maturità, dove anche un viaggio faticoso può prepararci ad accogliere le parole di un amico come Francesco.

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Potrei ora chiudere qui. Ma Cristo, nonostante tutta la bellezza che mi aveva mostrato durante la mattinata, mi ha riservato ancora il vino buono alla conclusione dell’incontro. Durante le fasi di uscita dalla piazza la stanchezza è tornata a farsi sentire e lo stomaco pure! Il treno per il ritorno era alle 15. Avevo già mangiato i panini preparati da mia moglie. Cosa avrei fatto tutto quel tempo? All’improvviso mi sono reso conto che tutto quello che avevo vissuto, in mezzo ad una comunità così bella e carica della riconoscenza nei confronti del don Giussani, non è ancora sufficiente se poi non vieni raggiunto nell’istante che vivi. Nel bisogno che vivi nell'istante. Quanti eravamo quarantamila? Sessantamila? Centomila? Non importa, tra quei 60mila mi arriva una chiamata sul cellulare: «Ciao, sono Walter (un mio caro amico della Fraternità). Vieni a mangiare un’amatriciana con me e la mia famiglia?». Così sono andato e, davanti ad un buon piatto di pasta e un bicchiere di vino, ho sperimentato di nuovo l’abbraccio di Cristo vissuto pochi momenti prima in una preferenza personale, intima. Perché la Chiesa in Cristo, come il colonnato di Piazza San Pietro, abbraccia tutta l’umanità attraverso l’esperienza di un incontro personale così come è successo a me. Chiamato, cercato e voluto bene, anche attraverso un buon piatto di amatriciana.

Michele, Settimo Torinese (Torino)