Lo slum di Kireka a Kampala (Foto: Paolo Perego)

Uganda. «Ora, qui, posso far parlare il mio cuore»

Abbandonata dal padre e con la madre assassinata: a undici anni Debora è rimasta sola con il fratellino. Oggi racconta di un incontro che le ha cambiato la vita, «quel giorno, nella cucina della scuola»

Il mio cammino in CL è iniziato 4 anni fa. Da quel giorno la mia vita non è più stata la stessa. Prima di iniziare a fare Scuola di comunità, molte cose mi sembravano strane, mi rendevano triste e silenziosa. Prima di tutto, il ricordo di come mia madre è stata uccisa da dei teppisti che l'hanno spogliata e gettata in un fosso dopo averla colpita alla testa con delle sbarre di ferro, le voci dei dottori, del suo pianto prima di morire. Questi ricordi mi hanno tormentato molte volte, mi hanno reso difficile fidarmi delle persone. Pensavo anche che, se mio padre fosse rimasto a casa con noi, mia madre non avrebbe incontrato quegli assassini. Sarebbe stata qui a vedere quanto velocemente cresciamo ogni giorno e questo l'avrebbe resa felice. La mamma è morta quando avevo 11 anni; Joel, il mio fratellino, che aveva solo 6 anni, non ha capito bene quello che è successo.

Mi sono capitati momenti difficili, ma non sapevo come affrontarli. Avevo una matrigna premurosa, ma avevo bisogno di un amore che fosse più di quello. Inoltre, non mi piaceva il mio aspetto, cercavo di fare le cose come gli altri solo per piacere, anche quando non erano giuste per me. In quei momenti, ho desiderato la presenza di un amico che mi ricordasse l'amore, che mi dicesse che era con me, sempre, ogni momento e ogni giorno. Un amico che mi dicesse che ero “abbastanza”, che andavo bene così, un amico che vincesse tutto. Così un giorno, mentre servivo il pranzo a scuola, ho incontrato Rose in cucina, di cui avevo sentito parlare dagli altri studenti, ma non avevo mai avuto l'occasione di incontrare, né di conversare con lei; pensavo fosse solo una “madre” per gli studenti del sostegno a distanza di Avsi.

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Incontrarla è stato bellissimo e ha iniziato a cambiare molte cose nella mia vita. Ricordo le sua prima parole: «Chi sei? Non ti conosco». Io ho iniziato a parlare di me, raccontandole tutto, lei mi ha risposto: «Tu hai un valore». Era una voce nuova che provocava il mio cuore. Mi ha invitato a frequentare la Scuola di comunità, un luogo in cui mi sentivo amata e sentivo gli altri amici. La prima volta che ci sono andata, non capivo cosa stesse succedendo, visto che si cantavano anche canzoni italiane, ma ho sentito tanta pace, ho sentito una casa, ho sentito una famiglia. Questo mi ha spinto a tornare ancora e ancora, perché ho sentito una presenza unica con questi amici che ho continuato a seguire fino ad oggi. Questo è un luogo che mi rende certa del mio valore infinito che non può essere ridotto a nulla. Mi fa apprezzare me stessa, mi rende libera. Qui posso far parlare il mio cuore quando mi sento vuota, nei momenti di confusione. Posso appoggiarmi a questa amicizia perché non è finta. Qui c'è qualcuno che mi vuole sempre. Niente è paragonabile a questo posto che ho incontrato.
Debora, Kampala