(Foto: Roberto Masi)

Un carrello pieno di sorprese

Tre racconti dalla Giornata nazionale della Colletta alimentare. Ragazzi delle medie, liceali, universitari. Anche per i più giovani è stata un'occasione per scoprire se stessi e il mondo

Una scuola di periferia proprio di fronte al supermercato gestito da un genitore di origine cinese, che si fa in quattro per ripetere l’esperienza già vissuta nel pre-Covid. Un manipolo di studenti di prima, seconda e terza media che, a rotazione, spiegano, distribuiscono, suggeriscono, ritirano, sistemano, imballano.
I ragazzi del turno mattutino sono gli iscritti ai corsi con orario settimanale 8 -14 e il sabato a casa: “quel” sabato non dormono, non bighellonano, non chattano, non vanno al centro commerciale; avviano la Colletta sotto la pioggia.
Il turno del pomeriggio è composto da coloro che durante le attività di educazione civica, mentre si parla di spreco e di povertà, guardano fuori dalla finestra e non partecipano: “ultimi della classe”, primi a dire sì.
Le tre insegnanti li guidano, li osservano e li scoprono. E con meraviglia il clochard del quartiere che, forse, non ha mai assistito a uno spettacolo così bello, con discrezione li guarda e sorride.
È stata la nostra piccola-grande Colletta alimentare.
Tatiana, Roberta, Rosanna, Rimini


Quando le due ragazze arrivano alle casse, l’atteggiamento non è quello accomodante che ci si aspetterebbe da un volontario. Oltre alla tuta e al piumino rigorosamente neri, una scorza di linguaggio, di modi, di gestualità che si portano addosso come un profumo unico, più forte di quello comprato in boutique.
Ultimamente non abbiamo avuto modo di parlare se non al termine di qualche lezione di Letteratura Italiana, di cui sono il loro docente, ed oggi sono di turno con loro alla Colletta. Raccogliamo i sacchetti di chi ha deciso di aderire alla proposta, una mansione semplice durante la quale abbiamo modo di parlare molto: tra un «grazie» e un «buona serata» le due ragazze sono un fiume in piena di racconti, su di loro, sulla classe, sugli amici. Nelle loro parole domina una certa violenza del mondo in cui sono immerse, e un tentativo di ritagliarsi un ruolo all’interno di questo. Io interloquisco, mi stupisco, obbietto, pongo domande.
A metà turno, cambiamo attività: andiamo all’uscita del supermercato a proporre di partecipare al gesto, e a chi accetta consegniamo volantino e sacchetto. Ora c’è poco tempo per chiacchierare, bisogna invitare, provare a spiegare. Si profilano così come degli argini intorno al fiume in piena dei loro racconti: “cibo a lunga conservazione”, “alimenti per bambini”, “famiglie bisognose”. Anche loro sembrano vedere più chiari i limiti di quel loro mondo inquieto sovrastante, intravedono qualcosa di diverso. Quando entriamo a fare noi la spesa per la Colletta mi perdo tra i reparti, incalzato dalle loro domande: «Quando ha iniziato a fare la Colletta?» e poi si va sempre più all’origine della mia strada che sta incrociando come un ponte il loro fiume, ma che mi sembra partire e andare nello stesso punto: «Come ha conosciuto il movimento?». Mi stupisce vederle così cambiate rispetto all’inizio del pomeriggio, molto più attente e più contente. Ci salutiamo, «l’anno prossimo facciamo un turno di otto ore prof!».
Mattia, Sesto San Giovanni (Milano)


Alla Colletta alimentare a noi universitari si aggiungono alcune studentesse di quinta superiore. Iniziamo a volantinare, proponendo la raccolta, e subito mi accorgo dell’imbarazzo delle ragazze nel fermare chi entrava. La mia immediata risposta ai loro tentennamenti è quella di sfoderare i classici “slogan da Colletta”: in questo caso, quello più azzeccato è: «Non importa se ti viene detto sì o no, perché l’importante è metterti in gioco, che tu metta la faccia in questa cosa che stai proponendo», detto con un tono molto poco convincente. La mattinata procede, le ragazze stranamente si lanciano con entusiasmo, ma io mi sto annoiando. Allo stesso tempo, però, non sono disposto a tornare a casa in quel modo.
Finito il turno alle porte, mi sposto al banchetto per lo smistamento degli alimenti. In un momento di calma post pranzo mentre chiacchiero con gli amici, una signora sulla sessantina, appoggiata a un bastone, mi fa segno di avvicinarmi. Quando la raggiungo, inizia a chiedermi maggiori informazioni su cosa è meglio prendere, essendo per lei “troppo generico” l’elenco del volantino. Mi chiede, ad esempio, se può acquistare un pacco di biscotti con la Nutella o delle fette biscottate con un barattolo di marmellata. Alla mia raccomandazione: «Faccia lei, anche se sarebbe meglio prendere anche un solo pacco di pasta o altra roba a lunga conservazione» mi dice che vuole acquistare le cose che lei vorrebbe ricevere se fosse dall’altra parte, considerando anche che in precedenza ha già usufruito lei stessa di queste “consegne di generi alimentari”. Dopo questo breve dialogo mi fa passare in rassegna quasi tutto il suo carrello, in cui ci sono cose teoricamente non adatte alla Colletta (come scatole di infusi di tè), ma io non ho più il coraggio di contestare le sue scelte, tanta è l’ammirazione. Torno al banchetto, mi siedo e sto in silenzio per qualche minuto, voglio essere anch’io come lei, avere quella posizione di vita.

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Fatta la spesa, la signora ritorna, portandoci l’intero carrello pieno. Ma non si limita alla consegna, si ferma a parlare con noi. Ci racconta di quando aveva avuto bisogno ed era stata aiutata e del perché avesse scelto ogni singolo alimento all’interno del carrello. Conclude dicendo che vuole tornare a casa per prenderci della pasta, perché lei non può più mangiarla e suo marito è a dieta.
L’entusiasmo generato da questo avvenimento in me e negli amici ha fatto sì che i ragazzi delle superiori della parrocchia dove siamo educatori, che avevamo invitato per un’oretta, e un compagno di corso, anche lui invitato con l’aspettativa che sarebbe rimasto per non più di qualche ora, si sono fermati fino all’orario di chiusura, quasi a non voler perdere neanche loro nulla di quella giornata.
Da tutto ciò è sorta una grande voglia di poter sperimentare dal lunedì successivo nelle mie attività quotidiane quella stessa mendicanza presentatami davanti agli occhi.
Roberto, Reggio Calabria