(Foto: Christian Spies/Unsplash)

«Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!»

Una canzone dei Baustelle, una scritta pubblicitaria calpestata e un verso di Rimbaud. Mattia racconta un weekend passato con alcuni professori e ragazzi di Gioventù Studentesca dal Nord Italia e dall'Europa

C’è una canzone della mia adolescenza dalla quale mi sentivo descritto benissimo: «Tasche sfondate e pugni chiusi». Mi sono trovato a canticchiarla mentre tonavo a casa dopo un weekend di ritrovo con alcuni professori del Nord Italia, dell’Europa e ragazzi di Gioventù Studentesca. Mi era tornata in mente quella immagine che cantavano i Baustelle e che poi ho scoperto essere rubata a Rimbaud: «Tasche sfondate». Il primo contraccolpo dopo le parole sentite in quei due giorni mi ha richiamato, in tutt’altra veste, le stesse parole. Quelle tasche sfondate non descrivono più la ribellione dei miei quindici anni, ma il riconoscere ciò che sta accadendo: «Qualcosa che non riesci a metterti in tasca», come sintetizzano Francesco e Matteo, responsabili di GS. Ma il vero spettacolo sono proprio i ragazzi. Al “gong” dell’assemblea, in quaranta si mettono in coda per raccontare le loro paure, le loro domande, le loro scoperte. Tanti si alzano subito, alcuni a metà di un intervento, come guadagnando improvvisamente coraggio o perché troppo pungente è l’impeto di dire. È domenica mattina, la giornata è uggiosa, che cosa c’è in fondo a tutta questa urgenza? Negli interventi di tanti c’è il desiderio che quanto incontrato nell’esperienza di GS possa durare e contaminare ogni campo della vita, secondo l’intuizione che l’attrattiva riscontrata in un punto preciso abbia la pretesa di dettare un metodo per tutto, dalla scelta universitaria alla semplice quotidianità. L’incontro con alcuni amici, un modo invidiabile di guardare il dolore proprio o altrui, o ancora l’imbattersi in testimoni eccezionali fa percepire la propria vita come un valore.

Spesso “la molla” per intervenire può essere l’insoddisfazione, c’è posto anche per quella, anzi «fa parte del cammino», ne è come il pungolo che mantiene tesi. Come stare di fronte a tale ricchezza di vita? Come si torna in Piemonte, in Romania, in Svizzera, in Friuli, in Spagna o nella stessa Milano? La prima responsabilità è questa: attestare di non poterci mettere niente in tasca, che c’è una verità tale che rompe le tasche. Ecco l’inizio. E poi accettare che non esiste una strategia. Non c’è un metodo, una tattica, che non sia l’assecondare il dispiegarsi della realtà, riconoscere quello che accade, senza scartare nulla. È in forza di questo che nasce una disponibilità che rende l’avventura degli adulti nello stare con i ragazzi «una provocazione alla propria vocazione». In fondo per tutti c’è una grande domanda di “senso”.

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Può essere anche una scritta pubblicitaria che, calpestata la mattina, come ha raccontato un ragazzo, porta scritto: «Perché vivi?». Chissà quanti l’hanno vista, ma che “fiuto” ci vuole per farsi destare persino da un volantino incastrato sotto le scarpe? Ho ripreso la poesia di Rimbaud da cui i Baustelle hanno rubato i pugni nelle tasche, finisce così: «Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!».
Mattia, Sesto San Giovanni (Milano)