I giessini pugliesi a Polignano a mare

Puglia. Come iperboli, che salgono all'infinito

Davanti al mare di Polignano, duecentocinquanta giessini pugliesi hanno vissuto la Giornata d'inizio anno. Il racconto di un professore

Una roccia a strapiombo sul mare. Poche bracciate a nuoto e si potrebbe approdare allo Scoglio dell’Eremita. Siamo su uno degli affacci più straordinari di Polignano a mare: è qui che circa duecentocinquanta ragazzi pugliesi si ritrovano per la Giornata di inizio d’anno di GS. Difficile spiegare a parole su quale meraviglia stiamo mettendo i piedi e sporgendo gli occhi. Recitiamo l’Angelus.

Ora si cammina: un quarto d’ora sul lungomare. Chi sono questi ragazzi in mezzo ai tanti turisti che affollano Polignano in una domenica di metà ottobre con 27 gradi? In una chiesa del Cinquecento si sentono rivolgere da Angelo una proposta chiara: «Non siamo come schiavi, che sbavano per strappare il bel voto o il consenso degli altri, come se il nostro valore dipendesse dal premio che chi conta di più potrebbe concedere ai nostri sforzi. Siamo ricchi, di una ricchezza sconosciuta: siamo amati, preferiti, abbiamo una casa, cioè un posto in cui qualcuno ci aspetta. Ricorda l’origine di tutto questo: tu sei chiamato per nome, tu, tu, tu, tutti noi che siamo qui, io, tutti siamo stati chiamati con il nostro nome […]. “Siamo stati chiamati perché siamo amati”».

Quattro ragazzi raccontano come, nel primo mese di scuola, si siano scoperti diversi, irriconoscibili rispetto a giugno. Cos’è accaduto quest’estate se chi rimaneva steso sul banco adesso sgrana gli occhi mentre l’insegnante introduce Filosofia? La domanda “chi sono io?” Giovanni la sente risuonare dentro di sé. Si guarda intorno, i compagni prendono diligentemente gli appunti. Vorrebbe gridare: «Non vi accorgete che non stiamo parlando di un argomento scolastico, ma del fuoco che ci brucia nel cuore?».

In un liceo di Taranto, invece, l’inizio è stato traumatico. Nella classe di Cristiana, tre ragazzi hanno già chiesto il nullaosta per cambiare scuola. Lei non può assistere passiva all’aula che si svuota, vorrebbe andare dal vicepreside e invitare tutti a Polignano. Se c’è una storia che fa rinascere lei, che non la fa soffocare né arrendere, allora è una possibilità per tutti. Del resto anche Angelica, a Lecce, si è sempre lamentata dell’ambiente della sua classe: com’è possibile che adesso sia protagonista, intervenga, si commuova per loro, li inviti alla Giornata d’inizio?

In una quinta di Bari, l’insegnante di Religione spiega che a renderla certa dell’esistenza di Dio sono i suoi studi di teologia. Giancarlo si fa avanti: lui non ha letto niente su Dio; semplicemente, Lo ha incontrato. «Prof, io e dei miei amici ci stiamo vedendo al parco, vuole venire anche lei?», le propone. Si ritrovano con una focaccia in mano a parlare di tutto e a leggere Il senso religioso. Qualche giorno dopo, durante una pausa, Giancarlo si avvicina all’insegnante di matematica e cominciano a parlare di limiti e asintoti: siamo un’iperbole che tende verso un’asse che non toccherà mai, e nel frattempo continua a salire sempre più su, verso l’infinito. Cos’è successo? Finalmente ha capito, da bravo studente, che a scuola bisogna impegnarsi? Non proprio. Racconta: «In oculis nostris facta: con questa consapevolezza ho iniziato la scuola, tenendo nel cuore quello che quest’estate mi è accaduto. In cartella non metto solo i libri, ma anche i dialoghi, gli sguardi, i fatti, le persone. E li tiro fuori ogni momento, mi servono come criterio di giudizio su tutto quello che mi sta attorno».

Ancora un quarto d’ora e siamo davanti a un altro scorcio di mare che abbaglia, intorno alla statua di Domenico Modugno, a cantare «nel blu dipinto di blu» e «come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso». Chi passa di lì si mette a cantare e a ballare con noi. Chissà cosa pensano. Pranzo al sacco: non il panino triste e solitario, ma uno spettacolo di tavolini che si aprono, teglie che spuntano, dolci che qualcuno ha preparato per tutti. Arriva monsignor Giuseppe Favale, vescovo di Conversano e Monopoli: «Sa l’ha vist cus’è? Ho visto un vescovo! Ah beh, sì beh». Gli cantiamo Ho visto un re e Ho un amico, perché «nemmeno un re» può riuscire ad «amare» con le sue forze. Per amare, nelle giornate faticose e senza sole, ci vogliono fatti negli occhi, il mare all’orizzonte, e dei compagni di strada con cui condividi la verità, niente di meno.

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Chi sono, allora, questi duecentocinquanta ragazzi? Non so se chi ci ha incrociati se lo sia chiesto: io sì, e per l’ennesima volta balbetto. Basterebbe dire che è la Giornata di inizio d’anno di GS? Sarebbe come sentirci dei partecipanti ai gesti di un’associazione che organizza vacanze e belle iniziative. E invece non finisce qui, la mattina dopo ci si cerca a scuola o su WhatsApp, si prova a studiare insieme, si sbaglia strada, si chiede aiuto, si prende il pullman e si fanno duecento chilometri per andare a trovare Giorgia che comincia l’università. Non basta nemmeno una giornata di inizio o un’amicizia unica: solo l’infinito potrebbe bastare, più bello del mare, più bello di noi. Quando non è più un’aspirazione nostalgica di povere iperboli che volano «più in alto del sole ed ancora più su» e poi ripiombano a terra a mani vuote, ma la pienezza di una giornata passata con Uno che le prova tutte per cantarti nell’orecchio: «Se tu sapessi quanto ti ho aspettato».
Valerio, Taranto