Durante la vacanza a Vladimir (Russia)

«Tirati fuori da noia e stanchezza»

Due ore d'auto, da Mosca a Vladimir, per passare qualche giorno insieme. E incontrare nuovi amici. Dalla Russia, il racconto della vacanza di un gruppo di ragazzi con alcuni professori

A inizio gennaio, abbiamo portato alcuni ragazzi della scuola italiana Italo Calvino di Mosca a Vladimir, una città a due ore dalla capitale russa, dove vive e insegna Darina. All’inizio io non volevo partecipare a questa vacanza invernale, ma il fatto che Darina, Tiziana ed Emanuela - forti dell’esperienza precedente - mi abbiano invitato, mi ha provocato a dire: «Ma io cosa ci faccio qui? Perché sono venuto in Russia?». Poi incontrando alcuni studenti nei corridoi della scuola mi hanno provocato alcune loro frasi: «Ho perso la motivazione allo studio», «Prof, la felicità è qualcosa che passa da una persona all’altra». A quel punto mi sono chiesto: «Ma io che motivazione ho per vivere, e per me che cos’è la felicità?». Di fronte al loro desiderio si è ridestato il mio.

Siamo partiti con otto studenti della scuola italiana di Mosca e abbiamo raggiunto a Vladimir Darina e tre sue alunne, alle quali si sono aggiunte poi nel corso della vacanza altre tre loro compagne. Abbiamo subito lanciato una provocazione chiedendo quale fosse stato il motivo per cui avevano detto di sì e, a partire dalle loro risposte, abbiamo detto qual era la ragione che aveva mosso noi: prendere sul serio il desiderio di felicità che ci pervade in ogni cosa che facciamo.

Una delle cose più belle è stata chiedere ai ragazzi di immedesimarsi con la figura di Dante nel suo viaggio verso il mistero, in modo che ognuno di loro potesse poi proporre qualche cosa di ciò che amano: poesie, canzoni e altro provando a raccontare perché quel brano gli era caro, perché come diceva Darina: «La poesia ha il grande dono di aiutarci a parlare di noi stessi». Le domande che poi Emanuela, prof di italiano, ha lanciato sulla figura dell’Ulisse dantesco e sulla differenza tra quel folle volo e il cammino di Dante sono stati potenti: «Arrivati alle colonne d’Ercole, voi sareste andati avanti? E sapendo che l’esito può essere quello di Ulisse, sareste andati lo stesso? E perché a Dante non succede la stessa cosa?». Pietro, prima liceo, ha risposto di botto: «Sì, sarei andato, perché non avrei voluto che rimanesse un buco nella mia possibilità di esplorare». Dasha, una ragazza russa, ha risposto senza dubbi: «Anche io avrei fatto lo stesso: è sempre meglio vivere la vita intensamente». Poi, con molta semplicità, ci hanno comunicato quello che per loro è significativo. Uliana in modo ironico, ma anche amaro, ha parlato di quanto la vita possa essere incomprensibile e che forse l’unica possibilità sia ridere di sé perché non si comprende lo scherzo che la vita è, eppure noi «rimaniamo persone solo perché amiamo qualcosa». Un’altra ragazza ha letto una sua poesia composta per la morte del padre. Altri ragazzi hanno proposto canzoni a loro molto care per storia familiare, mentre Varja ha letto con grande intensità una poesia di Majakovskij. Perfino Tonja, una ragazza con radici ucraine - che sta cercando di riscoprire attraverso la cultura e la musica - non si è sentita minimamente a disagio nell’esprimere la sua identità cantando una canzone in ucraino. Da dove viene questa libertà, questo desiderio di mettere in comune se stessi? E perché Arina, che con la sua amica Polina è stata con noi solamente tre ore, è andata via dicendo: «Mi sento piena e allo stesso tempo mancante di qualcosa»?

Una delle cose che più mi ha colpito è stata l’adesione spontanea e sincera dei ragazzi al concerto di musica per organo a cui ci aveva invitato una persona che abbiamo conosciuto in albergo. Pensavo che sarebbe stato necessario trascinarli un po’ a forza, invece avevano deciso di venire tutti, dopo aver fatto una passeggiata in città, e sono arrivati puntuali! Hanno ascoltato Bach come se non avessero mai sentito qualcosa di più intenso, erano in contemplazione, nessuno aveva in mano il cellulare. Alex, si è addirittura alzato in piedi e ha chiuso gli occhi per ascoltare meglio, proprio lui che mi ha fatto continuamente domande sulla mia vocazione, sul significato del tempo e della morte, sul fatto che non sa quale sia la sua di vocazione perché vuole capire «di cosa il mondo ha bisogno». E che è venuto a messa senza essere battezzato, traducendomi l’omelia dal russo all’italiano.

L’assemblea finale ha mostrato che tra noi qualcosa era veramente accaduto: tutti hanno colto la continuità della provocazione sulla felicità e sull’importanza della vita; diversi hanno detto che l’esperienza fatta è andata al di là delle loro aspettative; una ragazza ha sottolineato che in questi giorni ha voluto, lei che è una chiacchierona, ascoltare più che parlare; un’altra è rimasta stupita dall’unità profonda che si è generata con persone sconosciute; tutti hanno espresso il desiderio di continuare questa storia iniziata e di rivedersi presto. «Mi ha colpito», ha precisato Darina «che Nastya abbia detto che voleva condividere con i suoi amici rimasti a casa ciò che ha vissuto per aiutarli a ritrovare l’entusiasmo per la vita». Questo desiderio nasce in lei dal fatto che sente che questi giorni l’hanno “tirata” fuori dalla stanchezza e dalla noia della vita. Pietro prima dell’ultimo pranzo, compra il pollo fritto per tutti: perché?

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È successo qualcosa: un’intensità di amicizia, tra il freddo (fino a -28!), la fatica e la pazienza necessarie per tradurre continuamente dall’italiano russo e viceversa. Una strana e reale unità dentro la quale nascevano continuamente domande libere e sincere, generate unicamente dal desiderio di conoscere quello che davvero muove le persone: «Perché sei venuto in Russia? Cosa c’entra questo con la felicità? Con la vocazione? Cosa significa imparare qualcosa da un’esperienza affettiva magari finita male? Che cosa significa che la paura del futuro non deve farci avere meno desiderio nel presente? Perché Ulisse si avventura in un ignoto che non ha volto?». Domande che mi provocano e mi fanno pensare, mi fanno guardare a quello che ho vissuto con un’altra luce, mi fanno desiderare di vivere l’avventura della scoperta di queste cose con loro. Da un lato, sento che per me non può essere più come prima dopo questi giorni. Dall’altro riconosco che tutto questo è stato donato dal Mistero di Dio, a cui abbiamo prestato la nostra disponibilità e la nostra attenzione, cercando di seguire i segni anche quando ci hanno messi in difficoltà e costretti a cambiare idea. La continuità forse è affidata solo a questa iniziativa del Mistero che incontra la nostra mendicanza. Noi adulti ci sentiamo responsabili di fronte alla fiducia da parte dei ragazzi nei confronti della nostra proposta.
Francesco, Mosca