L'Osservatorio di Campo Imperatore e il sentiero che porta sulle cime del Gran Sasso (Foto Ansa/Massimo Percossi)

Il ritorno dell'astronomo dilettante

Claudio ha sempre amato osservare il cielo con il telescopio. Incuriosito da una serata sulle stelle, risponde all’invito di amici di vecchia data e partecipa a una vacanza di CL dopo anni. Così lo scetticismo cede il passo allo stupore

Mi sono chiesto, fino a poco prima di partire per la vacanza estiva della comunità di CL delle Marche sul Gran Sasso, perché io abbia deciso di partecipare quando Paola me lo aveva proposto. Io, scettico da almeno una ventina d’anni nei confronti di un Movimento che non sentivo più mio, dopo l’addio alla Scuola di comunità, alla Fraternità e a tutti gli altri eventi, non volevo andare. Poi, però, mi sono detto: «A me piace la montagna, vado su, faccio quello che mi pare e vado un po’ in giro». Ma se ho deciso di andare è anche perché Gabriele e Monica me lo hanno riproposto, dicendomi che avremmo fatto una serata sulle stelle e che la mia presenza «era indispensabile». Parole loro.

Allora mi sono chiesto: «Perché queste persone continuano a invitarmi? Perché sta loro a cuore ciò che faccio io? O, se vogliamo, il mio destino?». Così ho deciso di provare, di nuovo, a fidarmi e forse anche ad affidarmi a una compagnia che, nonostante tutti i miei limiti, continua a richiamarmi. Inoltre, ero attratto dalla serata sulle stelle, considerando che in gioventù io e Gabriele siamo stati astronomi dilettanti (molto dilettanti). Volevo provare ancora quelle sensazioni di stupore e bellezza provate per la prima volta all’acquisto del nostro primo telescopio.

Il giorno dell’arrivo ho rivisto tante facce che avevo conosciuto trent’anni prima a qualche evento del Movimento. Anche loro “invecchiati”, ma solo nel corpo. Mi hanno riconosciuto e salutato, chiedendomi come stavo. «Possibile che queste persone si ricordano di me dopo tanti anni?», mi sono domandato. Mentre dentro di me qualcosa ricominciava a muoversi, a ricordare i “giorni belli”.

La serata sulle stelle, dove Gabriele mi ha voluto coinvolgere («devi parlare per forza»), è stata una bella serata. Era da anni che non mi aprivo così, tirando fuori tutto ciò che avevo dentro. Mi sono detto che quel semino che era stato messo in me trent’anni prima non era morto, era solo sopito. La grazia di una compagnia che ti guida a un Destino buono lo ha innaffiato di nuovo perché ora possa crescere ancora e portare frutto. Quella sera sono tornato in albergo contento, anche se c’è ancora molto da lavorare e molti dubbi rimangono. Forse, però, è un primo passo, perché il Signore fa accadere le cose come risposta al tuo bisogno.

La serata sulle stelle, in particolare, mi ha provocato e interrogato. Non riuscivo a smettere di pensarci, perché mi suscitava questa domanda: «Perché guardiamo il Cielo con stupore? E perché quando ciò avviene sentiamo qualcosa dentro?». La risposta non si è fatta attendere: «Perché in questi momenti ha spazio una voce che viene dal di dentro e che ti fa fare i conti con te stesso: è l’Umano che c’è in te e che vuole venire fuori». E quando questo accade, ci pervade un senso di stupore e gratitudine. Stupore, che è come un sigillo di garanzia, perché senti che ciò che stai vivendo è vero, corrisponde al cuore; gratitudine, perché quello che stai vivendo in quel momento è un dono. E allora intuisci che tutto il Creato è segno di qualcos’altro. Le stelle e il firmamento non sono frutto del caso (come sostengono certi pseudo-scienziati) ma rispondono a una logica: c’è un ordine nell’Universo, «perché Dio non gioca a dadi» con esso, diceva Albert Einstein. E l’uomo non è un numero fortunato uscito a caso nella lotteria dell’evoluzione, ma il compiersi, nel tempo, di un preciso disegno.

Ricordo quando, tanti anni fa, credo fosse il 1983, al Meeting di Rimini che come titolo aveva “Uomini Scimmie Robot”, ero stato chiamato a spiegare una mostra sulla paleontologia, sulla comparsa dei primi ominidi sulla Terra. Una sera avevo partecipato a una riunione alla quale era stato invitato anche un astronauta americano del progetto Apollo, che stava spiegando come ci si comporta nello spazio. È molto difficile, pericoloso, ci sono procedure da seguire attentamente passo dopo passo. Alla fine, una persona aveva domandato: «Se è tanto pericoloso, chi glielo ha fatto fare di andare nello spazio?». E lui, senza pensarci: «Sono andato a cercare mio Padre, le mie origini e il mio destino per sapere da dove vengo e dove ritornerò». Una sintesi eccezionale del bisogno di Infinito che c’è nel cuore dell’uomo, sempre alla ricerca di qualcosa che lo renda felice ma perennemente inquieto perché qui, sulla Terra, non trova mai l’oggetto del suo desiderio. Diceva bene sant’Agostino: «Signore, il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco perché guardiamo al Cielo notturno pieni di meraviglia, stupore e gratitudine, sospesi tra Cielo e Terra, tra materialità e Infinito, ma con nel cuore la voglia di ascendere ancora.

LEGGI ANCHE - Equipe GS e Cle. «Se questa storia è già mia»

«L’uomo nell’Universo è nulla – diceva Blaise Pascal – eppure è più grande dell’Universo stesso». Ecco spiegata dunque quella misteriosa “voglia” di andare “più in là”, fino al ricongiungimento con il Destino. Grazie di avermi “aspettato”.
Claudio, Fossombrone