Elezioni amministrative. Una opportunità per tutti

Il racconto di quel che è accaduto in un Comune italiano indica il metodo di una presenza rinnovata. Stralci di un dialogo con Julián Carrón

A proposito delle elezioni amministrative che nel mese di giugno coinvolgeranno oltre mille Comuni italiani, pubblichiamo stralci di un dialogo avvenuto nel mese di maggio 2017, tra don Julián Carrón e alcuni responsabili del movimento in Lombardia.

Intervento. Racconto brevemente quello che è accaduto e che continua a succedere negli ultimi mesi nella mia città. Lo faccio per sottolineare come il prendere sul serio i propri bisogni, guardandoli in faccia, muova la libertà delle persone, che si mettono insieme e rispondono ai bisogni che la realtà fa emergere. Ecco ciò che è capitato.
Lo scorso mese di dicembre alcuni di noi sono stati provocati ad assumersi un impegno rispetto alle elezioni amministrative che si svolgeranno nella nostra città. Noi arriviamo da un anno e mezzo disastroso: la giunta che si è dimessa in blocco, con il conseguente commissariamento del Comune. In un clima cittadino di assoluta sfiducia, forse ancora peggiore della media nazionale, un parroco ci ha provocato domandandoci: «Ma i cristiani hanno qualcosa da dire in questa realtà? Abbiamo una posizione che possa essere di aiuto a tutti?».
Allora alcuni di noi si sono implicati e hanno cominciato a lavorare insieme ad altre realtà della società civile e dell’associazionismo cattolico.
Mettere sul tavolo tutta l’urgenza di rispondere ai nostri bisogni, e quindi ai bisogni dei nostri concittadini, ha fatto cadere in maniera inaspettata una serie di muri (fatti di preconcetti e di pregiudizi), al punto tale che abbiamo preparato un documento condiviso (sulla scorta di quello che è accaduto tra i cattolici di Milano l’anno scorso), che abbiamo presentato a tutta la città, avendo anche una risposta, in termini di partecipazione, interessante.
Il bello è che le persone che sono venute alla presentazione hanno cominciato anch’esse a muoversi. E soprattutto, avendo visto come alcuni di noi si sono mossi e come sono diventati più maturi e più umani, e quindi più interessanti per loro, hanno cominciato a chiedere da che cosa fosse originato il nostro impegno, fino a coinvolgersi e a lavorare insieme a noi. Successivamente alcuni di noi hanno deciso di candidarsi in una delle liste civiche della città, a uno è stato chiesto addirittura di candidarsi a sindaco.
Non avere censurato il nostro bisogno di presenza, di pienezza, di testimonianza e di felicità, ha fatto sì che in città nascesse qualcosa che non si vedeva da tanto tempo.
Tutto questo ha rappresentato una provocazione anche all’interno della nostra comunità, che in un certo momento ha rischiato di sedersi su un “già saputo”, anche se è un già saputo recente, perché ogni cosa vera invecchia molto in fretta, se non è mantenuta nella sua freschezza originale. Una nostra amica ci ha detto: «Io non voto i nostri amici candidati semplicemente perché sono “nostri”, perché ho bisogno di qualcosa di più per votarli!». Provocati da questa osservazione, in alcuni ci siamo incontrati per una chiacchierata, durante la quale è emerso questo giudizio comune: ciò che ti fa decidere di sostenere una certa persona è il cambiamento che vedi in lei, non la voti per partito preso o per l’appartenenza comune a un gruppo, fosse anche CL.


Julián Carrón. Questo racconto documenta quale opportunità sono le elezioni per fare la verifica della fede, per verificare fino a che punto i bisogni sono vivi in noi e riescono a muoverci.
La questione è se noi riconosciamo di avere bisogno di appartenere a un luogo che costantemente ci ridesta e ci rilancia a verificare nella realtà quello che abbiamo incontrato, essendone sempre più entusiasti. Nessuno decide come la realtà ci raggiunge; adesso, per esempio, ci interpella attraverso le elezioni in tanti enti locali: possiamo lasciar perdere o usare questa circostanza per vedere che cosa provoca in noi come bisogno. Nessuno ha dato ai nostri amici un ordine di scuderia per fare quel che hanno fatto. Hanno percepito loro il bisogno di impegnarsi, un bisogno ridestato dall’avvenimento cristiano, avendo visto il clima di sfiducia assoluta nella politica. E nessuno ha impedito loro di mettersi in moto, tanto che altri hanno cominciato a muoversi vedendo i nostri amici in azione. Questo è il metodo di Dio, anche a questo livello: uno comincia a muoversi e gli altri, vedendolo, si mettono in moto a loro volta Perché? Perché capivano l’origine da cui proveniva il loro interesse per le elezioni: non avere censurato il loro bisogno, che è proprio il contrario del sedersi sul “già saputo”.
Se noi non verifichiamo costantemente fino a che punto i bisogni sono vivi in noi e riescono a muoverci, e quindi se non siamo disponibili ad accettare le sfide che la realtà ci lancia, ci troveremo con il nulla nelle mani, anche se avremo tutta la storia del movimento alle spalle, ma sarà solo un fatto del passato. Il movimento, infatti, potrà continuare a esistere solo attraverso la modalità con cui ciascuno di noi risponde in prima persona all’appello della realtà, una risposta che non possiamo scaricare su nessuno. Questo è esattamente il secondo dei due fattori che Giussani indicava già negli anni Settanta come ragione del nostro impegno anche in politica. Li ricordo brevemente:
1. «Il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive, (…) il cui influsso sulla società civile tende inevitabilmente ad essere di sempre maggior rilievo; l’esperienza cristiana diventa così uno dei protagonisti della vita civile, in costante dialogo e confronto con tutte le altre forze e le altre presenze di cui questa si compone».
2. Se il primo fattore è che la comunità cristiana stessa è per sua natura un fatto politico, il secondo è questo: «Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata».
Ogni comunità cristiana, per il fatto di essere storicamente collocata in un determinato ambito civile – nel nostro caso, un Comune −, non può non avere uno sguardo sui bisogni e le urgenze più grandi che emergono in quel luogo.
Per questo implicarsi con le prossime elezioni amministrative è una possibilità a portata di mano di tutti, nessuno può sentirsi escluso. Gli amici di quel Comune commissariato ce ne hanno dato una testimonianza solare.
Passate le elezioni, poi, sarebbe bello organizzare delle assemblee per verificare che cosa abbiamo fatto di questa circostanza. Ci siamo implicati con la proposta che ci stiamo facendo? Non ci siamo implicati? Siamo rimasti indifferenti? Anche noi abbiamo ceduto alla sfiducia generale? Insomma, che cosa è capitato? Chi avrà accettato la sfida potrà giudicare se l’essersi implicato in questa circostanza, che non abbiamo deciso noi, gli è servito per verificare quello che dicevamo all’inizio, cioè se quello che abbiamo incontrato serve per affrontare tutto, perfino nel clima di sfiducia dal quale ci sentiamo circondati.
Noi non possiamo essere definiti da questo clima, né possiamo lasciare che altri riempiano gli spazi di presenza che noi, per pigrizia, non riempiamo. Allora ciascuno nel proprio ambito potrà vedere se quello che ci diciamo è un fatto vivo – come è stato per quei nostri amici − o se è semplicemente un modo di dire che non c’entra con le urgenze della vita.
Mi sembra che abbiamo davanti una bellissima opportunità per verificare tutti, ma proprio tutti, non solo coloro che s’impegnano direttamente in politica o che hanno deciso di candidarsi, se siamo veramente impegnati per realizzare quel “bene comune” di cui parliamo sempre.