La Colletta Alimentare è stata fatta in dieci carceri italiane

Colletta in carcere. «È un pezzo di strada da fare»

L'iniziativa del Banco Alimentare, per la decima volta, è entrata nelle prigioni italiane. Per molti detenuti è un momento atteso, come per Monrad, Renato, Ernesto, Alessandro... Ecco che cosa è successo a Opera
Giorgio Paolucci

«È partita la Colletta! La Colletta dei poveracci! Fuori la roba dalle celle, oggi c’è la Colletta!». Non è un tipo loquace, Monrad, però stamattina è più in forma del solito e mentre spinge il carrello nel corridoio su cui si affacciano le celle dei detenuti s’inventa qualche slogan per lanciare la raccolta dei viveri. Viene dal Marocco e qui al carcere di Opera, periferia di Milano, ci dovrà stare ancora per molti anni, eppure oggi la lunga detenzione che ancora lo attende non sembra pesare sulle sue spalle. Questo è il decimo anno che i volontari dell’associazione Incontro e Presenza propongono la Colletta del Banco Alimentare in carcere, una iniziativa che si svolge in altri dieci penitenziari italiani. Molti detenuti hanno ordinato la spesa nei giorni precedenti e hanno stivato i prodotti nei pacchi che sono già pronti da consegnare, ma c’è anche chi offre qualcosa mettendolo sul carrello che fa sosta davanti alle celle.

«Questo gesto non è nelle nostre mani, noi siamo solo lo strumento per qualcosa di più grande di noi», aveva detto Guido all’inizio della mattinata agli altri 25 volontari che con lui fanno la caritativa in carcere e con lui sarebbero andati nelle sezioni per ritirare il cibo donato dai detenuti: «Offriamo le nostre persone e stiamo attenti a non perdere nulla di ciò che accadrà».
E di cose ne sono accadute, anche impreviste. Come l’insolita allegria di Monrad, come le cinquanta confezioni di carne in scatola offerte da Giuseppe che, mentre mostra con orgoglio i suoi quadri appesi alle pareti di una stanza trasformata in un atelier sui generis, racconta che la sua donazione è il frutto di una raccolta che dura tutto l’anno, una scatoletta alla settimana. Renato regala sei confezioni di generi alimentari: «Nella mia vita tanto ho ricevuto e tanto ho dato, e adesso mi sento di dare a chi sta peggio di me. Lo faccio col cuore. E voi, tornate a trovarmi anche la prossima settimana».



Alessandro, che nella sua vita “fuori” ha anche insegnato all’università, insieme agli alimenti consegna una lettera dove ha scritto le sue riflessioni. «Può sembrare curioso che gente condannata venga sollecitata a donare cibo ai bisognosi: non siamo abbastanza bravi per uscire, ma lo siamo per regalare pasta e scatole di pelati? Però, pensandoci un poco di più, parlandone con qualcuno, lasciando che la cosa si sedimentasse nei pensieri, molti hanno cominciato a mutare atteggiamento: forse va bene così, forse è un pezzo di strada da fare, un’occasione, forse è un modo concreto per rendersi utili. Così la Colletta, costringendo a preoccuparsi di dove fossero i moduli necessari per ordinare la spesa, condividendo con altri le necessità, pensando a cosa fosse più opportuno comprare, lentamente è discesa nel cuore e il risultato è stato sorprendente. In chi ha risposto, a cominciare da me, si è accesa una luce: saremo anche tra i colpevoli, ma non tra i cattivi. Grazie a chi l’ha organizzata, grazie per avercela portata, grazie per averci chiesto questo piccolo aiuto: ci fa sentire uomini, e si sta bene».
Si sente bene anche Ernesto, e lo si vede dallo sguardo lieto quando consegna il suo sacchetto. «Ho vissuto momenti molto difficili nella mia esistenza e ho ricevuto la carità degli altri, chi come me è stato amato sta bene quando può amare».

LEGGI ANCHE - Colletta 2019. «Il fondo comune degli italiani»

Alla fine del giro nelle sezioni il raccolto è abbondante, più di nove quintali, meglio degli anni passati. Ma ciò che colpisce di più, e commuove, è vedere trasparire nei volti e nelle parole dei detenuti che la tensione al bene abita nel cuore di ogni uomo. Proprio ciò che scrive don Giussani nel libretto della caritativa, che durante l’anno viene letto prima di iniziare i colloqui con i carcerati: «Interessarci degli altri, comunicarci agli altri, ci fa compiere il supremo, anzi unico, dovere della vita, che è realizzare noi stessi, compiere noi stessi. Noi andiamo in caritativa per imparare a compiere questo dovere».