Lo spiraglio che prende tutto

La paralisi iniziale per il lockdown. E poi l'esplodere di rapporti, scoperte, novità… Su "Tracce" di maggio, dalla Bergamasca alla Sicilia, un Giro d’Italia tra i Banchi di Solidarietà. E in un’esperienza che, mentre il bisogno dilaga, diventa più solida
Davide Perillo

Quelli che non ti aspettavi sono i giostrai. Nomadi. Niente radici e zero legami a cui aggrapparsi, se tira un’aria brutta. E infatti non ci pensava nessuno, da quando l’emergenza ha congelato tutto. «Di solito ad aprile da noi c’è la fiera. Quest’anno, chiusa. E loro sono rimasti qui, bloccati: 25 persone, dieci minori. Senza aiuti. Sono due settimane che da mangiare glielo portiamo noi». Te lo racconta Andrea Benzoni detto “Benzo”, del Banco di Solidarietà di Varese. Ma anche Luca Perico, di Bergamo e dintorni: «Seguiamo tre gruppi: non hanno neanche l’acqua potabile…». E Fabio Saini, di Arona: «Anche noi ci siamo trovati ad aiutare dei giostrai. Mi hanno colpito gli occhi di uno di loro, quando è venuto a ritirare il cibo: “Non dimenticherò mai quello che avete fatto per noi”».

È la carità che non ti immagini. Ma chissà quanti altri rivoli stanno scorrendo sotto traccia e lontano dagli sguardi, nell’Italia stravolta dal Coronavirus e bloccata in una morsa che per molti vuol dire «fame». Gli ottomila volontari dei 250 Banchi di Solidarietà questa parola la conoscono bene, e da vicino: durante l’anno, aiutano oltre 80mila poveri. Lo fanno con un gesto semplice: portano nelle case i pacchi di alimentari ottenuti dalle donazioni di supermercati, associazioni o dal Banco Alimentare. Per molti è un modo di vivere la «caritativa», che don Giussani ha sempre richiamato come una dimensione educativa fondamentale: condividendo il bisogno dell’altro, vai a fondo del tuo. Ma in questo momento di necessità impazzite, la rete dei BdS sta diventando un punto di sostegno anche per altri: Protezione Civile e Croce Rossa, sindaci e assessori, Caritas e ong varie. «Di solito aiutiamo 300 famiglie, ma i Servizi sociali ci hanno girato tante segnalazioni», dice Luca: «La settimana scorsa abbiamo portato 200 pacchi in più». E lo stesso a Como, a Catania, a Pescara…

«La sollecitazione è enorme», osserva Andrea Franchi, detto “Branco”, presidente dei BdS: «Ma la sfida lo è ancora di più. Perché è un’occasione imperdibile per capire meglio chi siamo». Lo ha anche scritto, in un messaggio ai volontari prima di Pasqua. Riprendendo la lettera inviata da Julián Carrón a CL, parlava di una possibilità per «scoprire cosa c’è al fondo di ogni nostra iniziativa», per «vedere crescere in noi un’intelligenza nuova nell’affrontare le situazioni», perché «niente è più urgente di questa autocoscienza».



È questo che colpisce, più ancora dei numeri. Ascolti i racconti, in un Giro d’Italia della solidarietà – rigorosamente via Zoom –, e vedi venir fuori non solo una rete di legami più stretti, vecchi e nuovi, ma persone via via più solide, consapevoli.

Qualcuno, all’inizio, ha chiuso. Almeno per un po’. Non solo per riorganizzarsi, o per la legittima paura di infettarsi ed infettare. In tanti casi è stato proprio lo spaesamento, la «passività sbigottita del non poter fare nulla», come la chiama Enzo Sinatra, del BdS di Siracusa: arriva la mareggiata e tu sei lì, impotente. Sembra una condanna, nel momento in cui il bisogno aumenta. Invece è diventato il momento buono per lasciar emergere domande.

«Per giorni non ci siamo visti», racconta Fiero Innocenzi, del BdS di Roma (700 famiglie assistite): «Le condizioni sono disastrose, e qui le istituzioni non è che dobbiamo sostituirle noi, come nei paesini». Un po’ alla volta, però, è cresciuta «non solo la voglia di rivedere quelle famiglie, ma proprio la domanda di Carrón: “Cosa vuol dire stare da uomini in questa circostanza?”. Cosa posso scoprire io di me, della mia storia, di Gesù? E siamo ripartiti». Anche Nuccio Condorelli, da Catania (12 volontari, 240 assistiti), parla di una «paralisi iniziale». E di una svolta «arrivata con un’omelia del Papa: “Le élite hanno perso la memoria dell’appartenenza al popolo di Dio. Ma preti e suore perché vanno dai poveri?”. Mi ha scavato dentro. Ci siamo sentiti con gli altri. Il giorno dopo, era un’altra musica. Perché al centro c’era il nostro cuore e il desiderio di essere felici». Una mossa personale, insomma. Libera, non obbligata da schemi organizzativi o ricatti morali. «La libertà è un fattore troppo importante nel rapporto con le circostanze», scriveva Franchi nella lettera: serve ad accorgersi del loro «nesso con noi, per scoprire il Mistero che le abita».

Anche a Varese, dove il BdS ha vent’anni di storia e aiuta 500 famiglie, la marea improvvisa ha portato scompiglio. «All’inizio non sapevamo che fare», racconta Benzo: «Poi ci siamo confrontati, non tanto per organizzarci, ma per sorprendere in ognuno di noi come stavamo vivendo. È da qui che è venuta fuori l’operatività». Che, tradotto, vuol dire rivedere quello che si sa già (il magazzino, gli spazi, i numeri), ma soprattutto nuove idee e nuovi rapporti. Con la Croce Rossa, per esempio: «Noi prepariamo i pacchi, loro li portano in giro». O i politici: sindaci che ti cercano, assessori che si implicano. Uno di Melzo, a metà strada tra Milano e la Bergamasca, «ha deciso di rinunciare all’indennità di aprile e la gira a noi», racconta Maurizio Vitali, che guida un BdS della zona Martesana (e che i lettori di Tracce conoscono anche come firma). Ma vuol dire anche l’associazione che ospita i ragazzi di Chernobyl e stavolta, non potendoli accogliere, offre una somma al BdS locale. O la scuola (l’Aurora-Bachelet, di Cernusco sul Naviglio) che anziché raccogliere alimenti, come accadeva di solito con il “Donacibo” (3mila scuole coinvolte ogni anno), invita le famiglie a fare offerte per i Banchi.



E ancora. L’ospedale di Como a cui portare spazzolini e saponette, perché le visite ai parenti sono bloccate. La Protezione Civile che a Gorgonzola recupera qualche forma del formaggio omonimo, e chiama il BdS per chiedere a chi portarlo: «Voi conoscete i poveri, noi no» («abbiamo fatto un giro insieme a distribuirlo», racconta Vitali: «Bella occasione di conoscenza reciproca»). Il poliziotto di Lanciano, Abruzzo, che ogni anno partecipa alla Colletta alimentare e quando un amico rosticciere gli dice «vorrei regalare quattro porchette», chiama Francesco e, assieme a lui, il Banco Alimentare della zona: «Quelle porchette sono finite alle mense».

Fino alla chat in cui una signora di Siracusa propone ai condomini una raccolta nel palazzo. «Nessuno ha risposto, tranne il sottoscritto», racconta Enzo. Si incontrano, lui le parla del Banco. E lei quasi lo sfida: «Se voi trovate gli alimenti, io e i miei amici li portiamo a chi ha bisogno». La proposta si è affinata in una spesa solidale «inserita in tutte le chat a cui siamo iscritti: i parenti, gli amici, il corso di acquagym…». Funziona: aiuta i poveri e moltiplica i rapporti.

Rapporti che, a volte, nascono dove non ti aspetti. Mattia Lusuardi, di Carrara, dopo averti raccontato del lavoro e del Banco, butta lì un fatto di pochi giorni prima: «Davanti a casa mia c’è una Rsa per anziani. Il vento gli aveva scoperchiato un pezzo di tetto. Tornato tardi dal lavoro, ho trovato i responsabili disperati: nessuno andava a riparare. Mi ha preso una tenerezza che non è mia, mi conosco... Dato che prima di cambiare mestiere costruivo tetti, sono salito a sistemare. Avevo iniziato la giornata con una certa angoscia, l’ho finita ribaltato».

È una gratuità che, pian piano, dà forma alla vita, la plasma. Una gratuità piena di ragionevolezza, consapevole («arriva un sacco di gente che vuol dare una mano, ma li abbiamo stoppati», spiega Sonia Bianchi, da Como: «I magazzinieri ci hanno detto: se ci ammaliamo noi, si bloccano gli aiuti»), eppure radicale, semplice. A Ostra, Marche, il BdS fatica a portare i soliti pacchi, ma in compenso ha trovato l’aiuto di Gianfranco Catalani, ristoratore. Il locale è chiuso, lui cucina pasti da portare agli anziani, menù di Pasqua compreso. «Da ragazzino mi hanno insegnato a dare», spiega. E ripete una frase che sentiva spesso da sua nonna: «Butta in terra e spera in Dio». «Tu semina, non ti preoccupare di raccogliere…». Ecco, alla fine è questa gratuità che ti ritrovi addosso a interrogare. Gli altri, come l’assessore che dice «chiedo a voi perché mi interessa come vi muovete, c’è un’attenzione alle persone diversa» (Varese). Ma soprattutto se stessi; fa scoprire dimensioni della realtà che non ti aspetti.

Alessia, sempre a Carrara, parla del suo negozio, delle commesse da mettere in cassa integrazione, della preoccupazione perché «mi sono resa conto che non è uguale se siamo aperti o no: prima che un punto vendita, siamo una rete di rapporti». E della domanda affiorata: «Ma io di cosa ho bisogno? Me lo chiedevo, e guardavo mio figlio piccolo. Chiuso in casa, fissava fuori dalla finestra. Ma sorrideva, perché c’ero io. Ecco, ho bisogno di una presenza, qualcuno che mi aiuti a guardare quello che sto vivendo». Maria Concetta, da Termini Imerese, in Sicilia, la stessa scoperta la sintetizza in una frase: «Non è per prendersi cura dell’indigenza del povero che siamo messi insieme, ma per scoprire la nostra». Mentre Elisabetta, da Fabriano (che nei pacchi infila anche una copia di Tracce), lo dice in una parola: «L’essenziale. L’emergenza sta diventando una grande occasione per andare lì».

È un intreccio a filo doppio tra cammino personale e iniziative organizzate, crescita di consapevolezza tua e cose che fai per gli altri, tra essere e fare. Non puoi più separarli. Così come non puoi staccare l’altro da te, da come ti scopri a guardarlo. Marco Arrigoni, di Treviglio, nella Bergamasca, guida un BdS piccolo («aiutiamo una quarantina di persone»), ma ne riceve un aiuto grande: «Vivo con mia madre, che ha 78 anni e un problema serio: non è semplice accompagnarla. Ma questa caritativa mi ha sempre educato a guardare la persona, non il problema. Perché ha un valore infinito. Ed io oggi posso guardare tutti, anche mia mamma, così». Non è dalla tua misura, che dipendi.

Maurizio racconta di quello che si ritrova addosso in questo momento di superlavoro. «Una rilassatezza strana. Meglio: una pace di fondo, una letizia. Forse è un segno del fatto che pian piano divento più cosciente che ciò che fa stare da uomini davanti a una realtà così non è la nostra capacità di adattarci, ma la fede». E per farti un esempio, racconta di un dialogo al supermarket: «Dico alla cassiera: ha visto che il Papa l’altra sera vi ha ringraziato? Lei: no, davvero? Andrò a leggere… Ma mi sono accorto di guardarla in un modo diverso da quanto capita a volte. Non volevo fare propaganda al cristianesimo: era un moto di tenerezza verso di lei. Ed era aprire per me uno spiraglio alla presenza di Gesù».

Spiraglio che a volte si allarga, e prende tutto. Monica Cornara, di San Giuliano, periferia Sud di Milano, è vedova, ha cinque figli e un lavoro nella sanità che la porta in ospedale da mattina a sera: «Mentre loro erano a casa, io pensavo: ma cosa salva questa situazione? Come si fa a non lasciarsi andare? Devo vedere il bene. Per me e per i ragazzi». Li ha coinvolti. Ha chiamato il sindaco, che conosce bene – e che aveva chiuso il magazzino del Comune dove si appoggia il Banco –. Gli ha spiegato il motivo, senza giri di parole: «Voglio che i miei figli vedano che una compagnia esiste, in qualsiasi situazione. Noi troviamo gli alimenti e facciamo i pacchi. A te l’onore di trovare come consegnarli». Da un po’ di giorni, a San Giuliano sono i vigili a portare quei pacchi. Sono nate amicizie, sono fiorite iniziative e donazioni. «Ma soprattutto, viviamo di più la compagnia che ci fa Lui».

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Alla fine, è questo che resta. Come dice Stefania Perini, di Ostra Vetere (Marche), mentre racconta che cosa ha incontrato un anno e mezzo fa, quando un’amica le ha detto «vieni con me a fare caritativa»: «Ho trovato una casa. Qui vivo, non sopravvivo. Prima non avevo coscienza del mio cuore. Se ho paura, oggi? Certo. Ma mi spaventa molto di più la mia vecchia vita fatta di vuoto, che questa con il virus ma piena di Dio».