Meeting 2020. Le finestre aperte da "I percorsi di Tracce"

Un regista di fiction, un fotoreporter, la direttrice di Buone Notizie, uno studioso di storytelling, una giurista americana, un sociologo attento al mondo del lavoro, un ex magistrato e un poeta americano. Otto dialoghi per cogliere spunti per la ripresa

Un regista di fiction tv, un fotoreporter, la direttrice di Buone Notizie (settimanale del Corriere), uno studioso di storytelling, una giurista americana, un sociologo attento al mondo del lavoro in Italia, un ex magistrato e un poeta americano. Nel ciclo di incontri in avvicinamento al Meeting di Rimini, “I percorsi”, curato dalla redazione di Tracce, abbiamo visto aprirsi otto finestre sul mondo di oggi, partendo da altrettanti punti di vista molto diversi.
Il tentativo è stato quello di cogliere, nel contesto della crisi di oggi, delle prospettive per una possibile ripresa, che parta dall’impegno con la propria umanità.

Per Giacomo Campiotti, regista di serie tv come Braccialetti Rossi e Liberi di scegliere, ma anche di fiction sulla vita di alcuni santi (Giuseppe Moscati e Filippo Neri), il suo impegno è stato quello, negli ultimi anni, di «dare voce a personaggi che hanno qualcosa di buono da dire». «Sento il dovere», ha spiegato Campiotti nel dialogo con Paola Bergamini, «prima che da regista, da uomo, da padre, di dare un mio contributo per far circolare delle idee positive, in un momento in cui siamo circondati dal nero, dallo scuro. In cui i prodotti televisivi sono sempre più negativi. Io cerco di raccontare l’altro lato della medaglia. Che c’è».

Il fotografo Stefano De Luigi, dell’agenzia VII Photo e quattro volte vincitore del World Press Photo Award, invece, ha raccontato quanto il suo lavoro, negli anni, sia stato segnato da «una curiosità quasi infantile che si ha quando si vanno a vedere luoghi che non si conoscono, scevra dal cinismo che si accumula negli anni di carriera». Questa purezza nello scoprire e nel sorprendersi, ha spiegato commentando il titolo del Meeting 2020 nel dialogo con Luca Fiore, «la associo al sublime, perché secondo me la predisposizione intellettuale e morale a restare pronti all’essere colti di sorpresa, è una parte molto importante del mio lavoro».

Elisabetta Soglio ha spiegato, invece, che l’idea di Buone Notizie è quella di «raccontare l’energia e la creatività delle persone che cercano soluzioni dei problemi di tutti». La sorpresa di questa esperienza editoriale, ha raccontato nella conversazione con Paolo Perego, è stata «di scoprire che queste storie potessero diventare notizia». Questo perché «siamo un Paese che ha voglia di “stare attento” agli altri». E in questi mesi, ha aggiunto, è stato sempre più evidente che «senza il Terzo Settore avremmo avuto davvero un’emergenza sociale dentro l’emergenza sanitaria».

Andrea Fontana, docente di Storytelling allo Iulm e all’Università di Pavia, ha discusso con Davide Perillo di alcune parole più usate – e abusate – degli ultimi tempi, in tutte le loro varianti: narrazione, narrativa, racconto… Oggi questo tipo di comunicazione sta diventando sempre più cruciale per le sorti della nostra società. «Creiamo “comunità” attraverso dei destini comuni», ha spiegato, «e i destini comuni sono fatti di due cose, fondamentalmente: grandi racconti e grandi testimonianze. Il problema, oggi, non è più solo lo “storytelling”, ma lo “storymaking”. Ovvero, diventare testimoni credibili del proprio racconto, farlo vivere nelle opere quotidiane».

Il dialogo con Helen Alvaré, docente di Diritto alla George Mason University in Virginia, era dedicato al volto di un’America travolta dalla pandemia e dalle proteste antirazziali, mentre si avvicina alle elezioni presidenziali. «Ho l’impressione che negli ultimi decenni nel nostro Paese tutto si sia ridotto alla politica. Si sente parlare moltissimo di come la politica ormai divida le famiglie… Mi chiedo se questo sia dovuto ad una mancanza del senso di Dio nelle nostre vite e se la politica non vada, alla fine, a riempire questo vuoto». La giurista, nell’incontro con Alessandra Stoppa, dice che la speranza è debole nel suo Paese, «ma le persone l’hanno riscoperta in famiglia durante la pandemia, scoprendo vicini di casa su cui fare affidamento o accorgendosi di tante cose che prima non notavano… Queste sono le fonti di speranza, non certo la politica».

Nel dialogo con il sociologo Luca Ricolfi, invece, sono emerse tutte le difficoltà e le contraddizioni della società italiana. I non lavoratori oggi in Italia sono la maggioranza, la popolazione del nostro Paese ha accesso a una serie di consumi ben oltre l’essenziale e l’economia è stagnante da diversi anni. Ricolfi la definisce “società signorile di massa”, che poi è il titolo del suo ultimo libro. Per l’analista la situazione è grave e avara di prospettive, soprattutto nel contesto del dopo-pandemia «La speranza? È il sentimento che ci potrebbe permettere di sopravvivere a questa fase di grande sconforto, in cui il senso di vulnerabilità è notevolmente aumentato», dice intervistato da Davide Perillo: «Dobbiamo puntare su questo. Come fare? Una ripresa dei legami comunitari sarebbe molto importante. Entriamo in una fase in cui saranno un valore aggiunto, perché permetteranno di contrastare i guai e gli arretramenti che la situazione economica comporterà inevitabilmente in questi anni. Qualche segnale di riscoperta di questa dimensione comunitaria? Sono uscito da poco dal lockdown e mi è difficile vederne. Ma il vostro incontro potrebbe essere uno di questi segnali».

Ruota attorno alla giustizia, invece, il dialogo tra Paola Bergamini e l’ex magistrato Gherardo Colombo. Negli anni, quello che è stato il protagonista di diverse grandi inchieste – Mani Pulite, la più celebre – ha sviluppato la convinzione che «il carcere non serve». È una posizione non semplicistica, quella di Colombo, che arriva a scomodare il concetto di perdono: «In senso laico, il perdono è una conseguenza del riconoscimento della dignità pari dell’altra persona. È il riconoscere che gli esseri umani, in quanto tali, sono degni di stare con gli altri esseri umani. Mentre la pena del carcere ha come presupposto l’esclusione, il recupero della persona ha come presupposto l’inclusione. Includere vuol dire riprendere, vuol dire consolare – non solo la vittima, ma anche il responsabile del delitto che, spesso, soffre anche lui e soffre molto. Sono convinto che alcune espressioni deviate - penso al bullismo - siano richieste d’amore. Si percorrono false strade per entrare in rapporto con l’altro»

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Di parole e silenzio e del loro rapporto, invece, ha parlato il poeta americano Paul Mariani, autore di biografie di grandi poeti come Wallace Stevens e Hart Crane. «Attraverso la poesia mi sono chiesto anche quali parole sono quelle sufficienti, quelle che bastano», dice nel dialogo con Luca Fiore: «Credo che le parole migliori siano quelle che indicano un mistero più grande che va oltre al loro significato. E quello che ho cercato di fare in alcune delle poesie su cui ho lavorato è stato proprio di andare verso l’immanenza e la trascendenza, che so che esistono là fuori».