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Meeting 2021. Quale strada per il lavoro?

Un appuntamento quotidiano, in diretta dalla Fiera di Rimini, con vari ospiti alle prese con dialoghi, storie ed esperienze reali. Viaggio nel programma dei sei "momenti" curati dalla Fondazione per la Sussidiarietà
Paolo Perego

Un percorso in sei tappe, fatte di dialoghi, numeri, storie, esperienze reali. Protagonista? Il lavoro, quello che, insieme a salute ed educazione, è uno degli aspetti più colpiti dalla pandemia e al momento pieno di incognite sul futuro. E “Il lavoro che verrà”, appunto, è il fil rouge che accompagnerà la presenza quotidiana di Fondazione per la Sussidiarietà al Meeting di Rimini 2021. La formula è quella già sperimentata nella Special Edition del 2020: un talk televisivo in diretta dalla Fiera, guidato dai veterani del piccolo schermo Massimo Bernardini ed Enrico Castelli, arricchito con video-servizi ad hoc, info-grafiche e dibattiti in presenza di esperti e opinionisti. E di pubblico, con tutte le limitazioni del caso.

«Il punto da cui siamo partiti è che la pandemia ha peggiorato condizioni che già c’erano», spiega Giorgio Vittadini, statistico e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. La fotografia del nostro Paese dice che chi stava male, ora sta peggio: tra blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, sono saltati i contratti a termine e i tirocini, per esempio, mettendo in ginocchio chi lavora nei servizi, soprattutto giovani e donne. Ma, dice Vittadini, «uno dei dati più rilevanti e sorprendenti riguarda il tasso di attività, il più basso d’Europa. Tuttavia le offerte di lavoro ci sono». Perché accade questo? E proprio il tentativo di trovare risposte e percorsi di lavoro rispetto a questa domanda animerà i talk, alle 19 live e in diretta streaming dalla Sala Ravezzi della Fiera di Rimini.



Primo appuntamento, “Lavorare è cambiare”. «Il lavoro non è un meccanismo, ma implica un nuovo e diverso atteggiamento umano», spiega Vittadini. In sala, i ministri Elena Bonetti e Andrea Orlando, Marco Ceresa (Randstad), Renzo Sartori (Assologistica) e Luigi Sbarra (Cisl). «Metteremo a fuoco l’immagine di un lavoro “in movimento”, di un percorso oltre la logica del posto fisso». Un’idea che latita da anni, a favore di un assistenzialismo che non aiuta e che è anacronistico: «Secondo il World Economic Forum, nel 2030 un miliardo di lavoratori farà lavori che oggi non esistono. Occorre muoversi verso il lavoro. Ma questo è un atteggiamento umano. Se manca la spinta a muoversi, anche la ripresa, che già si vede, rischia di essere un’opportunità persa».

Si aggancia qui il tema del secondo talk, “Un lavoro senza frontiere”, con don Antonio Loffredo, parroco a Napoli, Maurizio Martina (Fao) e Alberto Sinigallia (Progetto Arca). «Le migrazioni sono davvero un danno o piuttosto una risposta della gente alla ricerca del lavoro? In Italia, dove nel 2050 ci saranno 5milioni di persone in meno al Sud, l’immigrazione dovrà essere una risorsa, fosse anche per pagare le pensioni…», nota Vittadini: «Guarderemo al mondo, con esempi da Kenya, Venezuela, Polonia… In tutti i continenti ci sono persone che si spostano per andare incontro al lavoro. E se al posto che qualcosa da cui difenderci l’immigrazione fosse una possibilità per vivere?». È una tesi alternativa, ma nella storia è sempre andata così: «Il punto è avere una identità: se sai chi sei, allora assorbi, integri».

Il terzo giorno si apre una parentesi sulla formazione, con il ministro Patrizio Bianchi, Marco Hannappel (Philip Morris Italia), Remo Morzenti Pellegrini (Università di Bergamo) e Begona Villacis (vicesindaco di Madrid). “Parentesi” per dire, perché il tema dell’insegnamento è intrecciato a doppio filo col lavoro: «Se il lavoro ha a che fare non più con le risorse umane, ma con l’uomo come risorsa, come diceva François Michelin, allora anche lo scopo dell’educazione e la formazione, ovvero il luogo dove questo soggetto nuovo si forma, non possono che essere implicate in questo discorso», per Vittadini. Il lockdown e la Dad, in parte, hanno dato l’opportunità di evidenziare ancora di più quanto sia prioritaria l’idea di insegnamento come rapporto, interazione: «È una necessità. Ma perché certe scuole hanno fatto e fanno meglio di altre? Perché hanno capito che il rapporto non si può costruire secondo lo schema di prima. Il punto centrale della formazione non può essere creare un meccanismo diverso, ma un soggetto nuovo. Che è quello che le imprese domandano già oggi».

Nel quarto incontro, sarà l’opportunità della “ripresa” a offrire l’abbrivio al talk dedicato al Recovery Plan, “I soldi dell’Europa”, con Francesco Baroni (GiGroup), Dario Odifreddi (Associazione Consorzio Scuole e Lavoro), Pedro Velasco Martins (Commissione Europea). «Una grande opportunità per il Paese», osserva Vittadini. In termini economici, innanzitutto, con le grandi risorse che arriveranno da Bruxelles: «Ma non solo. Quello che l’Europa ci sta chiedendo, con tutti i suoi vincoli, non sono solo investimenti e infrastrutture, ma anche che tutti cooperino a costruire. È una difficoltà che abbiamo da anni, tanto che abbiamo restituito sempre la maggior parte dei fondi che arrivavano. Si tratta di un cambiamento culturale necessario che deve essere accompagnato anche da riforme che lo sostengano, nell’ottica di quel cambiamento di cui abbiamo detto».

Si arriva quindi alla quinta giornata, dedicata a “I lavori che verranno”, con Francesco Mutti (Centromarca), Sabina Nuti (Sant’Anna di Pisa), Roberto Tomasi, (Autostrade per l'Italia) e, in video, il ministro Roberto Cingolani e il presidente emerito della Camera dei Deputati, Luciano Violante. «Come cambierà il lavoro? Sta già cambiando», per Vittadini: «Un esempio su tutti. Abbiamo visto i medici, abituati a lavorare secondo linee-guida e protocolli, doversi interfacciare con qualcosa come il Covid che esulava da ogni schema. Hanno dovuto sperimentare, provare, tentare. Interfacciarsi e imparare dalla realtà che accadeva. Le malattie del futuro dovranno essere affrontate così, probabilmente». E lo stesso accadrà nel mondo del lavoro. Digitalizzazioni, economia circolare, sostenibilità… «Vedremo cambiamenti nei prodotti, ma anche nella produzione e nei servizi. E questo non potrà che incidere, fin da ora, anche sul tema della formazione, sempre meno nozionistica ma volta a rendere più elastici e pronti al nuovo». Un mercato del lavoro, insomma, che sempre di più piega la ricerca delle competenze alla necessità di portare tra le proprie fila individui curiosi, creativi, intraprendenti, aperti: «È il tema delle non cognitive skills di cui parliamo da tempo», aggiunge Vittadini.

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Ultimo giorno di Meeting e ultimo dibattito: “Il lavoro o la vita?”, con il ministro Giancarlo Giorgetti, Roberto Giacchi (ItaliaOnline) e Gian Carlo Blangiardo (Istat). È il cuore del percorso, fa capire Vittadini: «Il lavoro è qualcosa che separa dalla vita o siamo noi che lo concepiamo separato? Cosa ha a che fare con il costruire una famiglia, con il tempo libero, con quella che opponiamo allo stare in ufficio come “vita vera”?». Il punto, aggiunge subito Vittadini, è che «il lavoro sta in piedi se è vita, se è rapporto, se è famiglia, se è nesso con la vita umana». Solo partendo da una tale concezione si possono comprendere, declinate nel lavoro, parole come sostenibilità, parità di genere, conciliazione del tempo, giusto salario, impatto ambientale, sicurezza… «Via da qui, lavorare non può che essere un peso insostenibile».