Un grido che sorge dalla polvere
Il 17 ottobre le comunità di GS si sono ritrovate, in diversi luoghi d'Italia, per la Giornata d’inizio anno. Un video per tutti, poi ogni gruppo ha organizzato la giornata creativamente. Un prof raccontaOggi le nuvole non hanno trovato spazio in cielo. Un sole caldo, di quelli che ad ottobre non si sperano più, apriva i cancelli, le portiere delle macchine, scaldava i sellini delle biciclette dei ragazzi, cavalcate di domenica, quando si potrebbe stare a casa, come tutti i loro compagni, dietro l’ultima puntata di Squid Game o immersi nelle impellenze delle prime verifiche.
La vignetta del disegnatore Mattia Labadessa - che Francesco Barberis e don Andrea Mencarelli proiettano nel corso della lezione proposta a tutti - è la didascalia di ciò, recita così: «Nella beatitudine della solitudine, di tanto in tanto spunta dal nulla un bisogno». Lo sfondo è giallo, quasi come la giornata di oggi, però è un giallo afoso, che non illumina, ma opprime; la posa del suo iconico personaggio tratteggia la passività esausta nelle soporifere ore di grammatica. Ma in quel nulla spunta un bisogno. «Ho bisogno di sentirmi coinvolto e complice. Di sapere che un’altra persona sta affrontando questa sfida insieme a me», continua a recitare la vignetta.
Ma chi affronta questa sfida con la ragazza, che dopo la spensieratezza coccolata delle scuole medie si trova senza amici, o il ragazzo che era abituato a un modo specifico di stare a giocare e studiare con i compagni. Chi affronta questa sfida insieme a me?
È un grido che sorge dalla polvere accumulata nelle nostre stanze dalla pandemia; è quello di ogni uomo, di sempre, da prof di lettere mi sorge alla mente Leopardi, che chiede una compagnia «di qua, dove son gli anni infausti e brevi». Il grido è lo stesso dei ragazzi, è la cosa più vera che hanno. È l’intuizione di quel grido a far girare la loro bicicletta, a farli svegliare presto di domenica, preparare il pranzo, pensare ai giochi. Nei discorsi intorno al tavolo, raccolgo dichiarazioni semplici, ma di una coscienza che sorprende: «I miei genitori sono contenti se vengo, ma io sono qui per me», «Dovevo venire qui, mi mancava questo clima».
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«La speranza non ha perso la speranza con me» dice il poeta spagnolo Karmelo Iribarren citato ancora nella lezione. Ma la gioia che hanno in volto questi ragazzi, l’attenzione avuta per preparare il gesto o anche la semplice disponibilità, sono segno che quella speranza ha almeno una volta, e una volta ancora, trovato un volto.
C’è bisogno di un volto per essere strappati dal giallo afoso del deserto. Sembrerebbe un volto talmente inequivocabile che se ne può avere nostalgia, anche se non lo si conosce ancora. «Ho bisogno di te, e non so nemmeno chi sei», conclude Labadessa. «La percezione chiara di essere voluto, di essere desiderato, di essere stato voluto e amato, di essere amato…, questo è fondamentale per la sanità psichica. Lo sanno tutti. Ma nessuno pensa alla struttura della legge che c’è dentro qui», le parole di Giussani, ascoltate in un audio, comunicano un impeto che calamita l’attenzione di tutti. Un impeto di vita a cui don Andrea invita ad attaccarsi «anche se si è capito poco, anche se non si è capito nulla»: conta di più il contraccolpo, gli occhi fissi di tutti su un testo che scorre, il brusio, anche minimo, che si eclissa del tutto.
È l’aggrapparsi di me, di lei, di lui a questa domanda e a voci o volti incontrati, il motore delle biciclette cavalcate, dei sorrisi strappati al deserto, del sole di oggi.