I bambini della "Scuolina" di Seveso

La "Scuolina" che ha mobilitato Seveso

Una ventina di bambini ucraini e altrettanti volontari. Per un mese e mezzo i piccoli venuti dal Paese in guerra hanno seguito corsi d'italiano e altre attività. Attorno a loro si sono mossi in molti, singoli e istituzioni. Ecco come è andata
Anna Celora

«Un grande grazie da tutto il cuore: avete aiutato i nostri figli ad ambientarsi qui in Italia. Tutti i giorni sono venuti alla “Scuolina” contenti». Con queste parole Julia, che viene da Zaporozhye, nel Sud-Est dell’Ucraina, chiude la festa finale della “Scuolina” di Seveso. Un’avventura, quella della scuola pomeridiana per i bambini ucraini arrivati nel paese brianzolo, iniziata per il desiderio di Anna, fuggita da Chernivtsi, l’intuizione di Veronica e l’idea di don Carlo di fare qualcosa di bello per accogliere chi arriva. Isa ha poi steso il progetto, curato il programma giornaliero e infine raccolto tutto in un video, preparato con Gabriella, che viene mostrato proprio durante i festeggiamenti finali.

Anna, decisa e coraggiosa, conosceva già Seveso, dove aveva lavorato tanti anni: «Tutto è iniziato da Elena, che mi ha telefonato appena iniziata la guerra e mi ha detto: “prendi tua figlia, tuo nipote e vieni da noi”. Abbiamo attraversato la frontiera con la Romania e arrivati in Ungheria. Lì ci sono venuti a prendere in auto Elena e Guido, due amici italiani, e ci hanno portato qui. Era l’1 marzo». La donna desidera subito trovare un lavoro. Non vuole restare chiusa in casa sola con il pensiero della guerra e chiede aiuto alle amiche italiane. Nel frattempo continuano ad arrivare altre mamme ucraine con i loro figli. E l’idea è quella di insegnare loro l’italiano. «Con l’aiuto di Isa e di altre insegnanti abbiamo pensato che questi bambini potevano imparare la lingua cantando, giocando e pregando». Isa ha avuto l’idea chiamare anche Gianluca, un attore e mimo, per far sorridere i bambini. È arrivata anche Monica che con la danza ha sciolto la loro rigidità. Così questi piccoli ora sanno dire come si chiamano, da dove vengono e andare al bar e ordinare una granita. Spiega Anna: «Di questo periodo così doloroso avranno ora qualcosa di bello da ricordare».

La “Scuolina” è iniziata il 4 aprile ed è proseguita fino a fine maggio, tutti i pomeriggi nel grande salone dell’oratorio san Paolo VI di Seveso, che si è riempito di una ventina tra bambini e ragazzi e un giro di altrettanti volontari. Attorno ad essa si è creata una vera rete di solidarietà: La Caritas che offre la merenda, amici che danno tempo e idee, il Banco Alimentare che coordina tanti aiuti. «È stato un mese e mezzo di presenza fitta», racconta Isa: «Quando Anna mi ha chiesto un aiuto, ho subito detto di sì. Così ho avuto la fortuna di venire tutti i giorni e di raccogliere tutta l’esperienza che emergeva dal lavoro di ogni pomeriggio. Lunedì, mercoledì e venerdì c’era attività linguistica: imparare la lingua in situazioni, partendo dall’esperienza. Un giorno di pioggia, siamo venuti al bar e abbiamo cominciato a dire «Vorrei un'aranciata», «Mi dia la merenda»… Ci siamo accorti che quello che imparavano gli dava la possibilità di uscire un po’ sul territorio. Così siamo andati anche in cartoleria, in gelateria e dal fruttivendolo».

Elena ritorna sull’inizio: «Guido, mio cognato, quando la situazione in Ucraina peggiorava, ha avuto l’idea di andare a prendere i nostri amici. Li abbiamo sentiti e abbiamo detto loro: se riuscite a scappare noi vi accogliamo. Quando sono arrivati, i nostri figli si sono stretti e abbiamo accolto i nostri amici. Poi siamo stati a quello che succedeva, soprattutto al desiderio di Anna di fare qualcosa e di non stare in casa. Da qui si è mosso un popolo. Mio marito Marco ed io abbiamo proprio pensato che era Gesù che bussava alla nostra porta. Avremmo sempre voluto avere altri figli, per vari motivi non siamo riusciti, ma così abbiamo capito che questo era quello che ci veniva chiesto». E continua: «Di questi ucraini mi ha sempre colpito la loro capacità di vedere il bello dappertutto. I nostri figli all’inizio erano contenti perché io e Marco ci impegnavano a cucinare bene per gli ospiti tutti i giorni… Ora invece dicono che sono "di famiglia" e si vede perché a volte in tavola arrivano anche gli avanzi! Stare con loro ti obbliga a tenere la testa alta, per me che tendo a ripiegarmi sulle mie fatiche. Sono stati e sono un dono per tutti».

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Anna racconta di alcune mamme ucraine che sono sempre state con lei, come Ludmilla e Viktoria, ma anche alcune ragazze come Alina, 14 anni, che veniva a piedi tutti i giovedì da Cesano Maderno e, con i suoi amici, aiutava a tenere i bambini piccoli. La “Scuolina” ha aggregato, nel tempo, non solo gli ucraini, ma anche tanti italiani: gli studenti del Parini a cui Nicola ha chiesto disponibilità, ragazzi che dopo la scuola passavano per un gioco o un saluto, le mamme che andavano a dare una mano. Betta, una delle volontarie che insegnava italiano, è stupita di come i ragazzi sono cambiati dentro il lavoro di tutti i pomeriggi: «Il primo giorno è arrivato Stan. Cupo e solitario. L’unica parola che diceva in italiano era “niente”. Non lo ho mollato! Dopo qualche proposta rifiutata, mi ha indicato l’unico gioco che era disposto a fare: le torte in faccia! Ha cambiato volto ed è stato protagonista per tutto il periodo».
È stata Veronica a mettere in contatto Anna e don Carlo: «Lui ha subito capito che occorreva organizzare qualcosa anche per i bambini più piccoli, non solo quelli che avevano bisogno di imparare l’italiano. Ho chiesto ad amici del movimento, della parrocchia, della Caritas. Tutti hanno accettato».

E ora Anna, la mamma da cui tutto è dato, non può guardare al futuro senza tener conto di questo mese e mezzo così intenso: «Ciò desidero ora è che la guerra finisca e poter tornare a casa. Ma mi piacerebbe anche che tutti i volontari e gli amici della “Scuolina” possano venire a conoscere il nostro popolo e il nostro Paese. Anche tutti i bambini che sono stati con noi queste settimane non vedono l’ora di tornare a casa propria. Ma adesso avranno qualcosa di bello da portare con sé: l'amicizia tra di loro. Così come le loro mamme».