La Colletta alimentare al carcere di Opera (Foto: Ignazio Perego)

La Colletta e quell'io invisibile

Al carcere di Opera, anche quest'anno, sono entrati i volontari del Banco Alimentare per permettere ai detenuti di partecipare alla raccolta. Un'occasione per educarsi alla gratuità. Da una parte e dall'altra delle sbarre
Giorgio Paolucci

«Scusatemi, ma non ho niente da darvi. Sono arrivato due giorni fa dal carcere minorile e non sapevo nulla di questa iniziativa. Ma se la settimana prossima venite a trovarmi sono contento». Victor è un giovane nigeriano che osserva stupito i volontari che passano con il carrello per raccogliere il cibo che sbuca dalle celle. Da dieci anni la Giornata nazionale della Colletta alimentare viene proposta alle persone detenute dai volontari dell’associazione Incontro e Presenza, qui come in altre carceri milanesi, e ogni volta è il rinnovarsi di una sorpresa, per il numero dei partecipanti e per la generosità delle offerte fatte da chi pure vive in condizioni di privazione. Uno di loro offre 15 scatolette di tonno. «Anche se è qui da trent’anni, Vincenzo è un uomo buono», commenta un agente della polizia penitenziaria.

In alcuni reparti non si possono varcare i cancelli di ingresso per motivi di sicurezza, e allora un volontario invita ad alta voce a depositare le offerte sul carrello spinto da un detenuto che passa davanti alle celle. In ogni reparto la raccolta si conclude leggendo un breve ringraziamento e le parole di Papa Francesco proposte nel volantino del Banco Alimentare: «Davanti ai poveri non si fa retorica ma ci si rimbocca le maniche attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno». A fine mattinata vengono raccolti 1.028 chili di alimenti, testimonianza di una generosità che commuove pensando alla povertà con cui in tanti devono fare i conti qua dentro. Come Alejandro, che consegna un sacchetto di fagioli secchi confezionato come se fosse una grande caramella. Gli spiegano che non è propriamente quello che si raccoglie in questa occasione, ma lui insiste: «Prendetelo, è tutto quello che posso offrire, viene dal cuore».

«Innanzitutto, la natura nostra ci dà l’esigenza di interessarci degli altri (…). Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro». Le parole di Giussani nel libretto Il senso della caritativa – di cui ogni settimana si legge un brano prima di entrare in carcere – prendono carne nei gesti e nei dialoghi con le persone detenute. Guido, il responsabile dei volontari, commenta che «proprio nella condizione di reclusione un gesto come la Colletta assume un significato grande perché riconosce ai reclusi la dignità di persone, rende evidente che il bene possiamo farlo tutti e ci fa comprendere che l’uomo in qualsiasi condizione si trovi è attento a chi è nel bisogno. Qui si rende evidente che la carità non ha confini».

Anna partecipa alla caritativa da due anni, ma non aveva mai visto le celle: «Ho avuto un contraccolpo di tristezza davanti a quegli ambienti e a certi sguardi carichi di rabbia o persi nel vuoto. Un conto è immaginare, un conto è starci dentro. Eppure mi sono resa conto che non esiste nulla al mondo che possa censurare definitivamente il bisogno dell’uomo, che possa coprire del tutto il suo grido, il desiderio di essere umano, di poter essere utile, di amare e di essere amato. È questo il guadagno più grande che ho portato a casa da quella giornata». Per Doriana – era la prima volta che entrava a Opera – la scena più impressionante sono state «quelle braccia tese che sbucavano dallo spioncino che si apriva dalle celle chiuse e depositavano un pacco di spaghetti, un pandoro, lasagne all’uovo… Cose buone, non scarti, e pensavo ai sacrifici che erano costati a quelle persone. Davvero il cuore dell’uomo è grande. E poi, la sorpresa di quella frase inattesa pronunciata ad alta voce da uno di loro: “Grazie che vi ricordate di noi”».



Il direttore della Casa di reclusione di Opera, Silvio Di Gregorio, osserva che «gesti di solidarietà come la Colletta hanno un grande potenziale educativo ed evidenziano sia il ruolo prezioso dei volontari, sia il desiderio di molte persone detenute di testimoniare la volontà di riscatto. Ma c’è un altro grande valore: il contributo che queste azioni offrono per superare i pregiudizi ancora molto diffusi nell’opinione pubblica rispetto a chi vive dentro un carcere, considerato sinonimo di negatività e di condanna irreversibile, mentre per molti può diventare il luogo dove l’espiazione della pena si accompagna a un percorso che unisce la presa di coscienza del male commesso con il desiderio di dimostrare che si può cambiare. Ognuno è unico, irripetibile e prezioso». E cita Hanna Arendt: «Ciò che ci salva dall’annientamento o dall’essere solo un puntino nell’infinità dell’universo è questo “io invisibile”».

Quest’anno per la prima volta alcune persone detenute hanno ottenuto il permesso di partecipare come volontari alla Giornata della Colletta Alimentare fuori dal carcere. Ambrogio è uno di loro, ha passato il pomeriggio davanti a un supermercato in via Feltre a Milano. «All’inizio mi sono chiesto più volte: che ci faccio qua? Di solito si fa qualcosa per un tornaconto, e invece in questa esperienza chi dona non sa chi sarà il beneficiario della sua offerta e chi lo riceverà non saprà chi glielo ha donato. Qui tutto è all’insegna della gratuità, una cosa dell’altro mondo. E c’è perfino chi dice “grazie per quello che fate”. L’idea di essere utile ad altri che non conosciamo e che non incontreremo mai mi fa sentire una persona importante, ha arricchito la mia umanità. Alla fine ho capito cosa ci stavo a fare, davanti a quel supermercato».

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Anche Mattia ha ottenuto il permesso di lasciare la casa di reclusione per unirsi ai volontari della Colletta, e ha passato il pomeriggio a inscatolare gli alimenti donati. «La prima cosa che mi ha colpito è che abbiamo dato il cambio a una squadra di ragazzini che erano di turno prima di noi: mamma mia, ho pensato, ci sono anche loro, è proprio una meraviglia. E poi l’atmosfera gioiosa che si respirava tra noi volontari, persone provenienti da mondi così diversi, di ogni età e condizione sociale - “un popolo”, come li ha chiamati uno che inscatolava insieme a me -, tutti uniti per un unico grande scopo. Non ne conoscevo neppure uno, eppure sembrava che fossimo insieme da sempre. Quale sarà il segreto di questa cosa, mi chiedevo? Quattro ore volate senza che me ne rendessi conto, quattro ore insieme, semplicemente come persone. Non so se mi capiterà di nuovo, ma un’esperienza così me la porterò nel cuore per tutta la vita. Dopo tutto il bene che ho ricevuto in questi anni dai volontari che mi hanno fatto compagnia in un tempo che sembra non finire mai, sento il bisogno di darne anche io. Che sia questa la strada giusta per me?».