I volontari di "Incontro e Presenza" nel carcere di Opera per la Colletta Alimentare

Tutti a tavola, senza maschere

Un cinquantina di "amici" insieme per un pranzo di inizio anno. Nulla di strano. Salvo che siamo nel carcere di Opera, tra detenuti e volontari di "Incontro e Presenza". Ecco cosa è successo
Giorgio Paolucci

«In carcere scorrono fiumi di parole, le parole abbondano ma non si dialoga. Anche perché ognuno tende a recitare una parte, a indossare una maschera». E allora, giù le maschere. È successo proprio così, quando i volontari dell’associazione “Incontro e Presenza” e un gruppo di detenuti - in tutto, una cinquantina di persone - si sono seduti a tavola in una sala del carcere di Opera, alle porte d Milano, per mangiare insieme e scambiarsi gli auguri per l’anno nuovo.

Dopo qualche intervento, Alessandro osserva: «Questa non è una chiacchierata, ma molto di più: è una conversazione. C’è dentro il gusto della condivisione, la bellezza di mettere in comune la vita, proprio come accade quando ci venite a trovare, perché molti di voi sono ormai diventati una parte importante della nostra vita». Poco prima Guido, il responsabile dei volontari, aveva letto una poesia indiana della tribù degli Oriah, in cui tra l’altro si dice: «Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare qui, voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco con me e non retrocedere». Il desiderio di guardarsi negli occhi e di raccontarsi fuori da ogni ruolo - appunto, senza indossare maschere - ha segnato la conversazione durata più di un’ora, in un susseguirsi di interventi carichi di vita, tanta vita, segnati dal dolore e dalla speranza.

Peppino racconta l’attesa per i colloqui settimanali: «Ogni volta non vedo l’ora di rivedervi, con voi mi sento un uomo libero anche qua dentro. Non mi giudicate per quello che ho fatto, volete bene alla mia umanità, e scopro che anche noi possiamo darvi qualcosa. Prima che detenuti e volontari, qui ci sono innanzitutto persone». «Persone che cercano di costruire ponti sempre più larghi tra il carcere e la società, dove purtroppo c’è ancora tanta gente che chiede di buttare via le chiavi dopo averci messo in galera», aggiunge “un altro” Alessandro.

I fagioli di Victor

Emanuele rivive il brivido del primo giorno di permesso fuori dal carcere dopo ventisette anni, racconta l’emozione di rivedere un mondo lasciato quando era ancora un ragazzino, la speranza di poter ricominciare, l’incontro con i volontari «che sono stati decisivi per il mio cambiamento, e per darmi la forza di continuare un percorso che da solo non sarei stato capace di fare». Mohammed, uno spilungone che arriva dal Marocco, prende la parola per dire che «io, unico musulmano in questa sala, non mi considero un estraneo perché sento di essere parte di questa amicizia. E quando c’è l’amicizia, le religioni non sono paletti che segnano i confini, non dividono gli uomini. Anzi, possono accadere dei piccoli miracoli». Come è capitato a lui, che in carcere ha nuovamente incontrato Emanuele, conosciuto da bambino nel suo Paese. Quando l’ha visto a Opera e l’ha sentito pronunciare alcune parole in arabo, gli ha chiesto come potesse conoscerle ed entrambi si sono ricordati di quel primo incontro in terra africana. È grazie a Emanuele che Mohammed ha incontrato i volontari di “Incontro e Presenza”: «E così i suoi amici sono diventati i miei amici, ed eccomi qua tra voi. Non è un miracolo?». Anche Claudio ha conosciuto i volontari tramite un altro detenuto, come per un virus benefico che passa da persona a persona, e anche lui si commuove per lo spettacolo di umanità in cui si trova immerso: «Sono esterrefatto. Qui a Opera non ho mai visto nulla di simile e mai hai sentito parlare in questo modo dentro e fuori dal carcere. Neppure immaginavo che potesse accadere una cosa del genere».

L’esperienza della caritativa è una scuola di gratuità. E Fiorenza, che a scuola insegna da tanti anni e in carcere entra solo da qualche mese, sta imparando quanto è preziosa anzitutto per sé: «L’incontro con voi è una sfida ad andare all’essenziale, un esercizio prezioso per la vita di ogni giorno, quando perdiamo tempo per le cose che non contano, per questo sono grata». Andrea invece è un veterano che entra da tanti anni, e ricorda bene che la molla che l’ha spinto a cominciare è stato il volto lieto dei volontari che gli raccontavano quanto guadagnavano in umanità facendo questa esperienza, in un posto abitato da persone per le quali lui provava un’istintiva ripugnanza. La felicità che vedeva sui loro volti la voleva anche per sé, per questo ha cominciato ad andare in caritativa. E alcuni rapporti con le persone incontrate in carcere sono diventati così importanti che il giorno di Natale ha voluto far conoscere alla moglie e ai figli Vincenzo, uscito in permesso, quel carcerato di cui tante volte aveva raccontato e che gli è diventato così inaspettatamente amico: «Tutti abbiamo bisogno di essere amati, è questo che ci accomuna. E anche oggi, qua dentro, capisco che c’è qualcosa di grande tra di noi, c’è un Amore più grande di noi».

Gli interventi si susseguono senza sosta, in un clima di ascolto reciproco quasi surreale, se si pensa al luogo e alle abitudini. Si pasteggia con cibi buoni - assai graditi e applauditi, visto il livello medio dei pasti in cella - preparati da Rosi, mamma-chef di un volontario, Michele, che al pranzo non ha potuto essere presente per un piccolo intervento chirurgico. A proposito di cibo: Victor, nigeriano di 23 anni, ricorda il giorno della Colletta Alimentare che i volontari di “Incontro e Presenza” avevano proposto in carcere a fine novembre: «Ero arrivato qui da poco, quel gesto mi aveva commosso. Non avevo niente con me, ricordo che avevo offerto solo un sacchetto di fagioli, ma voi mi avete offerto la vostra amicizia. È il regalo che da quel giorno mi accompagna». Anche Paolo, 32 anni di prigione sulle spalle, ha da raccontare il “virus” dell’amicizia con i volontari, quello che in settembre lo aveva indotto ad accettare l’invito al pellegrinaggio a piedi da Assago a Trivolzio, alla tomba di san Riccardo Pampuri: un gesto che lo ha segnato e che ha raccontato ai compagni di reparto, e qualcuno sentendolo parlare si è già “prenotato” per l’edizione 2023. «Quando incontri qualcosa di bello non puoi fare a meno di dirlo agli altri perché anche loro possano vivere quello che hai scoperto tu», chiosa Guido: «La parola più pronunciata negli interventi di oggi è stata “grazie”. E allora grazie a tutti voi, a tutti noi e, soprattutto, a Chi ci fa stare insieme in questo modo, come è accaduto oggi».

LEGGI ANCHE Se vince altro

Dopo il panettone c’è tempo per una cantata insieme: si rispolverano gli evergreen di Celentano, Battisti e Bennato e si chiude con La preferenza di Paolo Amelio. Accade così che Mohammed, leggendo il foglio dei testi preparato per l’occasione, si ritrova a cantare un pezzo della sua vita: «Che facevo qui, qui su un angolo del mondo? Aspettavo chi, chi avesse in fondo lo stesso desiderio...».