Kenya. La più grande rivoluzione
Le proteste giovanili e le violenze dello scorso giugno, una provocazione da cui sono nate tante domande e un giudizio comune. E un volantino firmato dagli universitari di CLLe violente proteste giovanili scoppiate a metà giugno in Kenya sono state stroncate. Simili scontri non hanno precedenti in un Paese ancora pervaso dalle ostilità fra tribù, etnie e ceti sociali, ma che non conosce simili manifestazioni, e tantomeno la repressione nel sangue: secondo le autorità, nelle piazze hanno perso la vita 50 persone, alcuni dei quali classificati negli obitori come “vittima di incidente stradale”. «Sono state dimostrazioni repentine e ben coordinate sulle reti sociali, che hanno colto tutti di sorpresa, a partire dal governo», dice Peter Mathenge, responsabile di CL in Kenya, che abbiamo incontrato all’Assemblea internazionale responsabili a La Thuile assieme a Silvio Kaliunga e Pascal Ouma. Il bersaglio delle lotte erano la corruzione endemica e l’aumento delle tasse. «Sebbene le manifestazioni siano state sedate piuttosto in fretta», aggiunge Peter, «hanno suscitato molta preoccupazione, in primo luogo in me, ma anche nella nostra comunità. Da due episodi in particolare mi sono reso conto di quanto fossi staccato dalla realtà e dai bisogni dei giovani».
Il primo fatto è accaduto nella cattedrale di Nairobi, dove i vescovi avevano invitato i giovani della “Generazione Z” a una Messa. A un certo punto, il celebrante ha posto ai presenti una domanda che voleva essere retorica: «Pensate forse che la Chiesa abbia trascurato i giovani?». Sorprendentemente, la risposta è stata unanime e forte: «Sì!». Il secondo evento ha toccato direttamente lo stesso Peter: «Pochi giorni dopo l’inizio delle proteste, mia figlia adolescente mi ha detto che anche lei, come gli altri della Gen Z, stava lottando per la giustizia e perché i suoi diritti fossero rispettati». Le rivolte non appartenevano più soltanto alla televisione o alle strade. Le manifestazioni erano entrate in casa Mathenge. La realtà poneva una sfida che non poteva essere ignorata, nemmeno dopo che il presidente William Ruto aveva ritirato la contestatissima legge finanziaria. Il malessere era più profondo: la Gen Z rifiuta le autorità. Le famiglie, la Chiesa, le istituzioni.
«Dovevamo entrare in dialogo con queste richieste. E in questo, dobbiamo ringraziare Davide Prosperi per l’intervento Cultura: essere per Cristo. Anche se è un testo difficile, ci ha aiutato a giudicare la situazione. Gli amici mi hanno ricordato che la più grande rivoluzione è avvenuta e avviene con la risurrezione di Cristo». Pascal, che guida un gruppo di Scuola di comunità con molti giovani, ha approfondito il giudizio con gli studenti universitari di CL, alcuni dei quali erano scesi in piazza al fianco dei compagni. Da questo lavoro è nato un documento, intitolato “La vera rivoluzione” e firmato “Clu Kenya”. «La prima idea era coinvolgere una serie di esperti di economia», racconta Pascal, «ma siamo stati sfidati a guardare i problemi a partire dalla nostra esperienza, da ciò che siamo». Così, prima delle risposte, sono emerse tante domande. «La corruzione e il cattivo uso delle risorse pubbliche sono diffuse», spiega Silvio, «l’inflazione e l’aumento delle tasse non vanno a beneficio della popolazione. Spesso gli stipendi non bastano a coprire le necessità delle famiglie. La domanda di una vita dignitosa è giusta. Ma non giustifica odio e rabbia».
«Come studenti e cittadini di questo Paese, sentiamo il bisogno di far sentire la nostra voce», si legge dunque nel volantino che gli universitari hanno diffuso tra gli amici a fine luglio: «Vogliamo seguire le orme dei nostri vescovi, che hanno sostenuto a gran voce le proteste e rilasciato dichiarazioni che ci aiutano a comprendere meglio questo grido profondo». In una dichiarazione di fine giugno, la Conferenza episcopale del Kenya aveva infatti riconosciuto come «valide» le aspirazioni della Gen Z: «Abbiamo ammirato l’unità al di là della tribù e della classe sociale, che non è solo un segno di vera cura e amore, ma una forza potente che può portare a un vero cambiamento». Il volantino del Clu ricorda però che «la vera libertà può essere raggiunta solo sostenendosi a vicenda verso il bene comune»: «Non vogliamo che l'indignazione e la vendetta siano il motivo delle nostre decisioni», perché ciò renderebbe vano il «desiderio collettivo di appartenere e vivere in una società più giusta», di «essere responsabili delle nostre scelte» per combattere la corruzione. «Quando siamo sopraffatti dalla rabbia, diventiamo ciechi alla verità e siamo tentati di vendicarci per qualsiasi ingiustizia. Siamo tentati di dire che il male, la corruzione e l’egoismo sono solo negli altri, ma siamo consapevoli che anche noi li abbiamo. Per vivere una vita giusta, riconosciamo che la battaglia giusta da combattere è resistere alla corruzione e all’egoismo nei nostri cuori, rendendoci conto che questo potrebbe essere l'inizio di un mondo nuovo».
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Il volantino arriva a giudicare anche l’idea di autorità prevalente nella Gen Z. «Alcuni pensano che i politici, i genitori e i leader della Chiesa debbano essere biasimati, la nostra libertà sarebbe quindi minacciata da qualsiasi autorità o appartenenza. Ci opponiamo a questa idea perché non corrisponde alla nostra esperienza cristiana quotidiana. La libertà si sperimenta quando il nostro grido più profondo di felicità, giustizia, amore e bellezza viene soddisfatto nella nostra vita quotidiana, e questo è possibile solo seguendo qualcuno che è già in cammino verso la realizzazione. Sappiamo che nessuna autorità umana è perfetta, ma abbiamo sperimentato una vera realizzazione solo in una comunità guidata verso il bene. Per questo condividiamo le aspirazioni dei giovani di essere liberi e di vivere in un Paese senza corruzione, ma rifiutiamo la rabbia, la vendetta e l’odio in qualsiasi forma. Vogliamo giustizia, amore, felicità e verità e crediamo che l'unico modo per ottenerli sia seguire il bene assoluto che abbiamo trovato in Cristo e nella Chiesa. Questa è l’unica vera rivoluzione».