Un pannello della mostra su Carmelo Caporale

«Un'esperienza che non poteva essere persa»

Compie venticinque anni l'Opera Carmelo Caporale di Buccinasco, nata per fare compagnia ad anziani e malati. Come faceva quel ragazzo così particolare: rinato nell'incontro con GS, sapeva, dalla sedia a rotelle, lasciare il segno nella vita degli altri
Federico Sesia

Ogni venerdì pomeriggio, in una sala della parrocchia di Buccinasco, nella periferia milanese, Ines, Orsola, Angelo e altri ventidue volontari accolgono una sessantina di nonni che arrivano per trascorrere insieme quelle ore che «sono diventate per me fondamentali nella settimana, c’è un’atmosfera fraterna tra di noi», come dice Anna, fedelissima a questo appuntamento settimanale. E per chi non riesce a venire con le proprie gambe, ci sono gli “autisti” e per andare a prenderlo a casa. È l’opera Carmelo Caporale, che quest’anno compie venticinque anni.

Carmelo era un ragazzo quando a 16 anni la poliomielite lo inchioda alla sedia rotelle. Il mondo gli crolla addosso. È il 1965. Non vuole vedere nessuno, se ne sta chiuso in casa. Dopo due anni di questa vita arrabbiata, decide di andare in pellegrinaggio a Lourdes. E avviene il miracolo, non riacquista l’uso delle gambe, ma la Madonna gli fa comprendere che la sua vita può essere piena e felice. Manca, però, ancora qualcosa perché questo possa diventare esperienza concreta. Al suo ritorno accetta l’invito di don Stefano di incontrare un gruppo di ragazzi che in parrocchia hanno iniziato a vivere l’esperienza di Gioventù Studentesca. Quando se ne vanno Carmelo ha una certezza: non è più solo, quegli adolescenti gli hanno lasciato la compagna di Cristo. La vita cambia radicalmente. Lui, paraplegico, inizia ad andare a trovare ammalati e anziani. Questo fino al 1994 quando il Signore lo chiama a sé. Il giorno del funerale la chiesa è strapiena. Per tutti conoscerlo era stato un incontro che in qualche modo aveva lasciato un segno.

La messa celebrata dal monsignor Adelio Dell'Oro

«Una testimonianza che non poteva essere persa. Così a un mese dalla sua morte su suggerimento di don Giussani, abbiamo dato vita all’Opera Carmelo Caporale per far compagnia ad anziani e malati terminali», racconta Ines, sorella di Carmelo.
Durante i pomeriggi, con l’aiuto dei volontari, i nonni condividono ciò che li appassiona: canzoni da cantare insieme, un brano di musica da ascoltare e persino una mostra d’arte che hanno visto. «Mi ha raggiunto una ricchezza umana inimmaginabile», racconta Emanuela volontaria. Una ricchezza che passa attraverso anche i testimoni invitati a raccontare la propria storia di fede: da suor Candore, che dall’asilo parrocchiale di Buccinasco è andata a missionaria in Perù, a don Paolo, che molti di questi nonni hanno visto ragazzino giocare in oratorio, e ora è frate carmelitano. Quando gli anziani non possono più muoversi, sono i volontari ad andarli a trovare anche in ospedale o nelle case di riposo. È una amicizia che lascia il segno per tutti. Da cui non ci si riesce a staccare.

Circa vent’anni fa, Pinella e Salvo a Catania desideravano iniziare un’opera per i bisognosi della città, ma non avevano fondi a disposizione. Un giorno leggono un articolo di Tracce in cui si racconta che a Buccinasco le persone andavano a trovare i malati terminali. «Mi sono detta che questo è qualcosa che si può fare senza soldi, l’importante è che tu vai a trovare le persone», racconta Pinella. «Così su suggerimento di don Ciccio siamo venuti con alcuni amici a Buccinasco e abbiamo conosciuto i responsabili e volontari dell’opera. Da questa amicizia, tornati a Catania, è nata la Dimora dell’Amicizia Opera Carmelo Caporale».

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Per i 25 anni dell’opera, agli inizi di giugno, c’è stata a Buccinasco una giornata di festa con i nonni e i volontari, che ha coinvolto praticamente tutta la parrocchia. Ha celebrato la messa monsignor Adelio Dell’Oro, oggi vescovo di Karaganda in Kazakistan, che aveva conosciuto Carmelo quando era sacerdote coadiutore in parrocchia. Durante l’incontro del pomeriggio ha ricordato: «Io insegnavo religione all’omnicomprensivo di Corsico. Quando i ragazzi mi chiedevano perché Dio permettesse il dolore io li portavo a casa di Carmelo. Tra quelle quattro mura la risposta era vivente». Per i venticinque anni, Itaca ha rieditato, con la prefazione di monsignor Massimo Camisasca, il libro scritto da Emi Serio Ho visto l’ippopotamo mettere le ali, titolo preso da una poesia di T.S. Eliot che Carmelo aveva appeso nella sua stanza. Era stato Giussani a suggerire l’idea dopo la morte di Carmelo «perché tutti potessero leggere come attraverso un dolore si può vivere in letizia». «Io non l’ho conosciuto direttamente, ma ho potuto raccontate la sua storia attraverso le testimonianze di chi gli è stato accanto e lo ha incontrato. E che oggi porta il suo stesso sguardo», ha raccontato l’autrice.