Asna al lavoro (Foto Avsi/Marco Palombi)

Tende Avsi. Le grandi imprese di Asna e Jean Claude

Secondo appuntamento con i progetti della campagna di raccolta 2020. Tappa a Bujumbura, in Burundi, dove si aiutano giovani ragazze e ragazzi "di strada" a costruirsi un futuro
Filomena Armentano

Jean Claude ha capito che doveva seguire i suoi coach e fidarsi della realtà. Asna ha assecondato la sua creatività e valorizzato la sua storia. Ecco come si sono allargati gli sguardi di un ragazzo e una ragazza di Bujumbura, ex capitale del Burundi e principale centro economico di uno dei Paesi più poveri del mondo. Jean Claude e Asna sono due degli oltre mille giovani e giovanissimi burundesi affiancati, nella loro crescita, dal "Progetto Arte", promosso da Avsi e sostenuto dalla campagna Tende 2020-2021, dal tema “Allarga lo sguardo. La speranza accanto a chi ha bisogno”.

«Nel 2015, in seguito agli scontri nati dopo le elezioni presidenziali, molti giovani sono stati additati come agitatori e hanno dovuto abbandonare famiglia (per chi la aveva), scuola, città», spiega Andrea Sovani, responsabile del progetto: «Poi, tra il 2016 e il 2017, le acque a livello politico si sono calmate e i fuggiaschi hanno potuto fare ritorno».

Migliaia di ragazzi soli, spesso in mezzo a una strada. Avsi si è messa sulle tracce dei più vulnerabili, magari orfani o malati. La proposta? Imparare in pochi mesi un mestiere grazie a un corso di formazione e a uno stage. In tantissimi hanno trovato un lavoro. Soprattutto, hanno scoperto di sé cose che non immaginavano, capacità che non sapevano di possedere, doti umane e creative che hanno cambiato le loro vite. «Abbiamo preso ragazzi tra i 16 e i 25 anni. Nella selezione ci siamo fatti aiutare dalle parrocchie e dalle autorità presenti nei quartieri più a rischio».



Quando ha chiuso il centro missionario che lo aveva accolto nelle zone rurali del Paese, a causa della mancanza di fondi, Jean Claude, orfano, si è ritrovato in strada a Bujumbura, a 12 anni, da solo, vivendo di quello che trovava. Poi, attorno ai 20 anni, si è innamorato e ha avuto un figlio dalla sua ragazza, che lo ha lasciato nuovamente solo, questa volta con un bambino, senza lavoro, senza nulla. Ha sentito parlare del progetto Arte e ha tentato la sorte. Sono diverse le professioni proposte: panetteria, ristorazione, saponeria e pulizie, piccola meccanica, commercio. Jean Claude ha scelto di studiare per diventare panettiere: quattro mesi di corso e cinque di stage. «I ragazzi che fanno meglio sono quelli che hanno avuto una storia più difficile», racconta Andrea: «È impressionante. Ma si può capire: dovendo cavarsela, magari sin da molto piccoli e per diversi anni, acquisiscono delle soft skills di cui non sono coscienti e che li portano a rischiare di più, ad essere più curiosi. Così è Jean Claude».

E nello stage, è venuto fuori il suo carattere. Il suo capo aveva già tanti panettieri in bottega. Così all’inizio a Jean Claude è stato chiesto di fare altro. Lui si è lanciato, mostrando totale disponibilità, nel fare piccoli lavoretti, consegne, vendite e addirittura il guardiano notturno. Alla fine, uno dei panettieri è andato via e lui è stato assunto. Ora con uno stipendio riesce ad avere cura anche di suo figlio, che è cresciuto e va a scuola. «Guardandolo, la cosa che mi stupisce è che lui è cosciente di avere un valore. Il percorso formativo ha favorito in lui anche uno sviluppo umano».

Asna, orfana anche lei, mamma di due bambini, ha vissuto con la zia fino a quando la donna è morta lasciandole un figlio in più in carico. «È l’altra faccia della medaglia: ci ha mostrato quanto scommettere sulla libertà della persona non sia scontato, ma effettivamente alla fine funzioni». Anche lei ha studiato panetteria, ma alla fine dello stage, poiché donna, non ha trovato lavoro nelle boulangerie della città.

E cosa s’inventa Asna? «Lei coltivava un piccolo campo prima di iniziare il progetto Arte. Conosceva alcuni agricoltori e parlando con loro le è venuto in mente di aprire un piccolo banco per la vendita dei cavoli e di altri suoi prodotti, proprio fuori dal mercato locale. Un giorno un nostro agente era al mercato in cerca di un altro ragazzo del progetto. Ha incontrato Asna, che non conosceva, e le ha acquistato un cavolo, non perché ne avesse bisogno, ma in quanto colpito dalla capacità della ragazza di coinvolgerlo, di presentargli i suoi prodotti. Tornando in ufficio ci ha proposto di farle un coaching sulle vendite». Nei mesi «ci siamo accorti che aveva una creatività e una mente da imprenditrice. Ha guadagnato abbastanza soldi per prendere un banchetto interno al mercato e ha iniziato a vendere esclusivamente cavoli, proponendo un’innovazione: li tagliava sul momento, un “taglio express”, consegnandoli ai clienti già pronti per l’insalata. In poco tempo il suo è diventato il banco più frequentato del mercato. Tutti volevano i suoi cavoli. Tanto che a un certo punto gli altri venditori hanno iniziato a fare come lei, proponendo delle verdure già pronte per l’uso». Guardare Asna «ci ha insegnato che seppure giustamente noi facciamo un programma, lo curiamo al meglio, nei dettagli, analizzando ogni possibile variabile, alla fine bisogna lasciare spazio alla persona».



Jean Claude e Asna hanno allargato lo sguardo in due maniere differenti, spiega Andrea. «Jean Claude prendendo coscienza di chi era, ha iniziato a muoversi nel mondo del lavoro in un modo che ha valorizzato tutto ciò che gli avevamo insegnato. Ha seguito alla perfezione ogni passo e si è impegnato in ogni cosa, riuscendo a raggiungere il suo obiettivo. Per sette anni non era riuscito ad abbandonare la strada, con noi lo ha fatto in un anno e mezzo. Asna, invece, è stata lei ad aprire lo sguardo a noi».

Certo, i problemi non mancano. Già nella prima fase del progetto, dall’agosto 2017 all’agosto 2020, una delle prime barriere per i ragazzi è stata quella di non poter lavorare, dovendo studiare. «Nella zona nord si trova una discarica. Cercare ferro e venderlo vuol dire guadagnarsi mille franchi al giorno (33 centesimi). Venire a scuola significa perdere dei guadagni per loro importanti. Per questo un ragazzo aveva smesso di frequentare. Non era il solo. Le abbiamo pensate tutte per farli partecipare ai corsi, innanzitutto garantendo loro un pasto al giorno, e poi aggiungendo un contributo per l’acquisto dei biglietti per il trasporto pubblico. C’è chi ha usato davvero questi soldi per prendere l’autobus per arrivare da noi, c’è chi li ha messi da parte per fare altro. Asna, per esempio, ci ha affittato il suo primo banchetto fuori dal mercato».

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Da novembre 2020 per il progetto scatterà una seconda fase. «Vogliamo sviluppare azioni a sostegno delle ragazze madri», dice Andrea: «Qui in Burundi, una donna se ha un figlio da un uomo che poi la abbandona, viene automaticamente emarginata anche dalla famiglia d’origine. Abbiamo accolto diverse ragazze madri e sole ed è stato molto difficile aiutarle ad entrare nel mercato del lavoro. Abbiamo già iniziato ad essere più presenti nella mediazione con le famiglie. In qualche caso siamo riusciti a ottenere un riavvicinamento, e questo è utile anche dal punto di vista pratico: prima studiando, poi lavorando, le ragazze hanno qualcuno a cui lasciare i figli». Obiettivo della fase due sarà una scolarizzazione delle ragazze madri (e non solo) per favorirne l’emancipazione lavorativa. «Non è semplice che vengano assunte da un imprenditore, per questo le orientiamo a crearsi una loro attività. Abbiamo già degli esempi incoraggianti, oltre a quello di Asna. Un’altra ragazza ha iniziato vendendo riso al mattino, poi si è accorta che ad ora di pranzo era libera e quindi poteva cucinarlo e venderlo agli operai in pausa dal lavoro. Con i guadagni ha comprato dei maiali. Passo dopo passo, ha ingrandito sempre più la sua piccola impresa».