Padova, Ca' Edimar.

Padova. Sulla strada che porta a Ca' Edimar

Vent'anni fa muoveva i primi passi l'opera educativa veneta nata dall'amicizia fra Mario e Daniela Dupuis e alcune famiglie. Una storia cresciuta nel tempo, carica di incontri
Alberto Raffaelli

«È bella la strada per chi cammina…» ed è una bellezza che nessuno avrebbe potuto immaginare vent’anni fa, quando l’opera di Ca’ Edimar è sorta. Una strada bella e drammatica, che si è sviluppata dentro l’alveo di una compagnia, fedele ad essa, carica di sorprese e di fatica, di doni inimmaginati e inimmaginabili come lo è la vita quando è segnata da certi incontri. Il primo di questi, da cui tutto è nato, è stato raccontato in modo impareggiabile da Mikel Azurmendi. Lui e Mario Dupuis, il fondatore di Ca’ Edimar, non si sono mai incontrati di persona eppure tra loro è nata un’amicizia profonda, via web in tempo di Covid.

Ed è forse l’amico più recente di Ca’ Edimar a darci la testimonianza più chiara dell’origine di quest’opera. «Ho conosciuto Mario e sua moglie via Zoom», racconta Azurmendi in un video girato qualche mese prima di morire. «Loro avevano una figlia di 15 anni con un handicap molto grave, a letto, e sempre si preoccupavano molto per lei. E si chiedevano: “Come possiamo aiutare nostra figlia? Starò facendo abbastanza per lei?”. Mario mi ha raccontato che un giorno Giussani è andato a casa loro, ha guardato la loro figlia, e Mario e sua moglie sono rimasti trasformati. Avevano visto che lo sguardo di Giussani era un’altra cosa. Lui guardava la bambina… sapete cosa guardava? Invece di chiedersi: “Cosa posso fare io per te?”, Giussani guardava e si chiedeva: “Chi sei tu per me?”. Guardava Gesù in quella bambina. Questa è la radice, io penso sia la radice. Questo mi è sembrato fulminante: uno sguardo che cambia lo sguardo. Così ho capito la carità».

Mario Dupuis

Le famiglie che avevano aiutato Mario e Denni, sua moglie, fino alla morte della piccola Anna, a partire dall’incontro con don Giussani hanno stretto ancor di più la loro amicizia ed è nata prima l’Associazione e poi la Fondazione Edimar. Il nome è quello di un ragazzo brasiliano, ucciso dalla banda di bandidos, dediti a furti e omicidi, di cui faceva parte e che aveva deciso di lasciare a seguito di un incontro con un’insegnante che gli aveva proposto un modo diverso di vivere e di trattarsi.

L’Associazione Edimar subentra nella conduzione educativa di una scuola di formazione al lavoro denominata “Scuola Bottega”. Iniziano così le prime attività educative e degli imprenditori padovani si coinvolgono per dare una mano. Nel corso dei due decenni l’opera ha vissuto varie epoche, cariche di incontri e di cambiamenti, fedele a quel «impeto di vita» da cui è nata, come lo ha definito Carrón nella lettera di auguri inviata a Dupuis in occasione del ventennale.

Quando lo vado ad incontrare Mario mi viene incontro sbucando da una sala che dà su una sorta di chiostro moderno, che costituisce il cuore di Ca’ Edimar. «Il ventennale l’abbiamo festeggiato qui, c’era il Vescovo, il sindaco e molti amici. Di fronte alla strada che abbiamo fatto, ai momenti affascinanti e a quelli difficili che mondanamente possono essere considerati una sconfitta, ho imparato che l’opera non si misura dall’esito, dalla riuscita di certi progetti. Il vero scopo dell’opera è la possibilità di cambiamento di chi la fa. È un cammino dell’io verso l’abbraccio del Mistero».
Mario accenna al rapporto con le due famiglie, che con lui avevano condiviso, abitando lì come ha fatto lui, l’avventura di Ca’ Edimar e che ad un certo punto hanno lasciato l’opera e intrapreso un’altra strada. «Ho sofferto molto, ma poi è stato un dono grandissimo quando il giorno del ventennale ci siamo ritrovati tutti qui, non l’avrei mai immaginato, ed è stata per me una gioia grandissima, come ho scritto a Carrón: “Anni di lontananza bruciati da una gratuità presente”».

Oggi sono Anna e Andrea, il figlio di Mario, a portare avanti la Casa Fraternità, il cuore di Ca’ Edimar, due figli naturali e sei adottivi, dagli 11 ai 17 anni. «Al mattino mi alzo», racconta Anna: «sento le voci dei bambini e si riapre la possibilità del mio “sì” a Cristo. E così la mia vita ricomincia segnata dall’obbedienza e dal desiderio della santità, come la giornata di un monaco: le Lodi, il lavoro, il pranzo da preparare. Gli amici più cari che ci sostengono in questa avventura sono Marco, Lia e Jimmi delle Famiglie per l’accoglienza. In questi anni si sono legate anche alcune famiglie del posto che vengono per aiutare, per dare una mano».
Prima di salutarci Mario mi racconta che Walter, uno dei ragazzi che ha vissuto a Ca’ Edimar, dai 14 ai 19 anni, è venuto a trovarlo proprio quel giorno. Mi faccio dare il numero e il giorno dopo lo chiamo.

Walter oggi ha 35 anni, si è laureato in architettura, vive e lavora a Milano dove si è sposato e ha un figlio piccolo. «Fin dai primi anni di vita, ho avuto “una vita un po’ complicata”», spiega. «Orfano di padre, la madre, vittima della depressione, mi ha cresciuto fin che ha potuto. Dall’età di otto anni mi sono dovuto arrangiare in tutto. Sembra strano, ma avevo imparato a vivere in modo del tutto autonomo e indipendente. Cucinavo, lavavo i vestiti, facevo le pulizie, tutto. Poi per alcuni anni mi hanno traslocato da una famiglia e all’altra, in affido».

LEGGI ANCHE Vedere è vivere. L'incontro con Sainz

Walter sorride al telefono. «C’è un episodio, di cui con Mario ridiamo ancora adesso quando lo ricordiamo. Quando a 14 anni, nel 2001, sono arrivato all’aeroporto di Venezia, dalla Sicilia, per entrare in Ca’ Edimar, la prima cosa che gli ho detto è stata: “Non preoccuparti, non vi creerò disturbo. Mi so arrangiare in tutto”. Nel tempo mi sono dovuto ricredere. La prima cosa che ho imparato è stato che potevo non censurare il mio bisogno, che potevo metterlo a tema e farmi aiutare. Sembra strano, ma non è scontato né fare un gesto di carità, né accettare che qualcuno te lo faccia. Sono grato a Mario e Denni che sono stati la mia famiglia, non di sangue. Con loro ho conosciuto un modo di vivere affascinante: mi hanno insegnato che il problema non sono le regole. A Ca’ Edimar mi hanno lasciato la libertà di sbagliare eppure sono sempre stati presenti. Ancora adesso è un modo di vivere desiderabile: è l’ipotesi positiva sulla vita».

Per il ventennale, uscirà a breve il libro ll Mistero di Anna. Ca’ Edimar: l'avventura della carità, edito da Itaca.