Il cardinale Giuseppe Betori

Betori: «L'essenza del cristianesimo? Per don Giussani era "il centuplo"»

L'omelia dell'arcivescovo di Firenze, il 17 febbraio, per l'anniversario della morte del fondatore di CL. «È solo nell’impegno personale di ciascuno con la proposta cristiana, che si realizza il miracolo dell’unità»
Giuseppe Betori

L’appuntamento annuale per questa celebrazione in occasione degli anniversari della morte di don Luigi Giussani e del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione, cade quest’anno nel giorno in cui si celebrano i Santi Sette Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, che ogni anno ci accolgono fraternamente in questa basilica. Non possiamo quindi non ricordarli nel luogo – l’allora oratorio di Santa Maria di Cafaggio – che fu, insieme al Monte Senario, la loro prima dimora, affidatagli dal pastore della Chiesa fiorentina in quel tempo, il vescovo Ardingo.
La celebrazione dei santi nella Chiesa non è per la loro esaltazione – di cui non hanno bisogno –, ma per l’edificazione del popolo cristiano. Essi sono come delle luci in grado di rischiarare la vita cristiana di tutti, mostrandone gli aspetti essenziali, pur secondo caratteri, forme e storie diverse. Vorrei allora stasera cogliere alcuni aspetti della santità dei Santi Sette Fondatori, che ci aiutino nel nostro cammino di vita cristiana.

1. I più antichi documenti che li riguardano parlano di questi sette uomini benestanti di Firenze, come ciascuno «singolarmente innamorato della Vergine». Ciò che li ha uniti non è un progetto o un programma di vita, ma l’essere singolarmente innamorati della Vergine, ovvero la fede personale di ciascuno. Chi vive un’esperienza intensa, profonda, reale di fede, trova facilmente amici e compagni di strada, fino a realizzare quell’unità di vita che è caratteristica suprema e affascinante della vita cristiana.
A questo riguardo non possiamo farci illusioni: è solo nell’impegno personale di ciascuno con la proposta cristiana, quella che don Giussani chiamava la «personalizzazione della fede», che si realizza il miracolo dell’unità. Egli scriveva nel testo che state meditando come Scuola di comunità: «La cosa più grande che si possa vedere nel mondo è che certi uomini siano uniti tra loro come membra di un unico Corpo. Non perché impegnati in una certa opera, ma perché chiamati dallo stesso gesto di Cristo» (Generare tracce nella storia del mondo, p. 50).
Così è stato per i Santi Sette Fondatori dei Servi di Maria. Riecheggiano allora più nitide le parole dell’Apostolo che abbiamo ascoltato: «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene per coloro che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28). Egli aggiunge, descrivendo la bella parabola a cui giunge l’esperienza cristiana: «Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati».
La risposta alla chiamata di Dio attraverso il Vangelo – come per la Madonna Annunziata che veneriamo qui – è un fatto personale, che non possiamo delegare a nessuno, e dal quale nasce quel miracolo dell’unità dei credenti, preludio e segno alla grande unità della famiglia umana.



2. Il secondo aspetto che voglio sottolineare è che questi sette uomini – chi sposato, chi vedovo o celibe – decidono di lasciare tutto, di sistemare le proprie famiglie e di iniziare un’intensa vita comune di preghiera, di penitenza e di servizio al prossimo, come segno del servizio alla Vergine Maria alla quale vogliono dedicare la propria vita.
È un classico della santità la rinuncia agli averi per seguire Gesù, ma che non possiamo dare per scontato, come fosse solo un atto eroico e sublime di alcuni. Come ci ha mostrato il Vangelo odierno, è un atto che è al cuore stesso della esperienza cristiana fin dalle origini, dei primi discepoli, e quindi di ogni discepolo, di tutti noi: «Allora Pietro gli rispose: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,27-29).

Voi sapete meglio di me quanto don Giussani ritornasse spesso su questa pagina evangelica e quanto l’idea del centuplo fosse centrale nella sua percezione dell’essenza del cristianesimo. Il fatto è che la fede nell’incontro con Gesù ha una capacità tale di catalizzare tutta la persona che non ha pari (questo significa la rinuncia agli averi!). Ma il movente, il motivo per il quale vale la pena anche il sacrificio di sé, è una convenienza umana che Gesù ha espresso così semplicemente ed efficacemente parlando di centuplo. Don Giussani lo parafrasava in questo modo: «Io spiegavo ai ragazzi del liceo Berchet: Centuplo quaggiù, capite cosa vuol dire? Che vorrò bene cento volte di più a mia madre, a mio padre, al ragazzo o alla ragazza, agli amici… cento volte di più prenderò gusto allo studio, cento volte di più sarò in grado di sopportare le difficoltà della vita!» (Realtà e giovinezza. La sfida, p. 93). La forma con la quale questa radicalità di sequela si esprime non la decidiamo noi. Per i Santi Sette Fondatori è stata porre le radici, le fondamenta di un ordine religioso. Ma per tutti vale il contenuto delle parole di Gesù: seguirlo è talmente conveniente per l’esperienza umana, che vale più di tutto il resto. E questa è stata e rimane l’esperienza fondativa di ogni vero discepolo. Quanta luminosità possono irraggiare i cristiani che vivono a questo livello.

3. E così siamo introdotti in un terzo aspetto dell’esperienza dei Sette Santi. Essi hanno iniziato a stupire la città di Firenze per quello che vivevano, e moltissime persone hanno iniziato a rivolgersi a loro, a chiedere preghiere, consigli, a seguirli, ad ammirarli. Affermano gli antichi cronisti: «Per questa carità ordinata verso Dio, verso se stessi e il prossimo furono veneratissimi dal popolo: ogni giorno ricevevano visite di uomini e donne che ne desideravano la protezione e aspiravano ardentemente a formarsi secondo le loro parole e la loro vita. Ricercatissimi erano il sostegno della loro preghiera e la direzione dei loro consigli» (Legenda de origine, § 40). Fu tale l’impatto sulla città che furono costretti a rifugiarsi al Monte Senario per poter vivere la loro vita di preghiera. Ancora una volta, non è importante la forma, ma quello che ci dice questo fatto. Il cristianesimo si propaga per attrazione come ama ripetere, sulla scorta del suo predecessore, Papa Francesco. Se ha un futuro la vita cristiana a Firenze sarà in forza di questo livello di essenziale e semplice testimonianza di una vita evangelica, per la quale uomini e donne, conquistati da Gesù iniziano a seguirlo, mostrando al mondo la diversità umana che la sequela di Gesù genera nelle persone e nelle azioni dei cristiani. Come abbiamo ascoltato domenica l’altra nel Vangelo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).

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Vi auguro quindi, nel solco del vostro carisma, di poter riverberare qualcosa nella nostra città di quella che fu la testimonianza dei Sette Santi Fondatori nel XIII secolo. La sfida che il Vangelo ci lancia non è minore oggi di allora, quella di essere gente per la quale il fatto cristiano è tutto nella vita, così da mostrarlo al mondo, che ne ha tanto bisogno, attraverso una testimonianza viva ed efficace.