CmC Milano. Dino Buzzati e la finestra nella nebbia

L'ultimo appuntamento di un ciclo dedicato al giornalista e scrittore. A chiudere la serie, l'Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, e due firme di "Avvenire", Alessandro Zaccuri e Marina Corradi. In streaming venerdì 15 alle 21
Davide Perillo

L’ultimo appuntamento è per venerdi 15, ore 21, naturalmente in streaming. Ospite, stavolta, l’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Tocca a lui, in dialogo con le firme di Avvenire Marina Corradi e Alessandro Zaccuri, chiudere il ciclo di incontri che il Centro culturale di Milano ha dedicato a “Dino Buzzati: nella città contemporanea”. Si era partiti giusto dodici mesi fa, con Antonia Arslan che commentava Nuovi strani amici, uno dei racconti più famosi del grande scrittore e giornalista. E si conclude ora, con una serata su Buzzati “testimone nella metropoli”. In mezzo, altri dieci incontri (con ospiti come Gianni Biondillo e Ferruccio De Bortoli, Luca Doninelli e Zita Dazzi, Lorenzo Viganò e Lucia Bellaspiga). Ma, soprattutto, l’anno più straniante che si potesse immaginare, quello in cui l’imprevedibile è entrato di colpo nelle nostre vite e le ha trasfigurate, moltiplicando le incertezze e le domande. E sradicandoci dall’ovvio.



«Questo è stato un anno molto buzzatiano», dice lo stesso Zaccuri, che ha curato il ciclo assieme a Camillo Fornasieri, direttore del CmC. «Era una cosa nata un po’ per caso, dopo l’esperienza della serie sui Promessi Sposi. Si cercava un altro filo conduttore per raccontare Milano, e Doninelli aveva suggerito Buzzati, che con la città ha avuto un legame molto forte. Poi, dopo i primi incontri, ci siamo trovati nella situazione che tutti conosciamo. E man mano ci siamo resi conto che molti dei testi scelti per il percorso erano descrizioni perfette dell’oggi. L’attesa e l’inquietudine che attraversano le sue pagine non sono una bizzarria dello scrittore, qualcosa dovuto alla sua ipersensibilità: sono un dato comune, condiviso».

Esempi? «La fine del mondo, commentato da don Paolo Alliata: a rileggerlo ora, è un racconto che dice molto del nostro sconcerto di fronte a una realtà che diventa ostile». O lo smarrimento umanissimo che attraversa tanti articoli di “nera” di quello che è stato anche un grande cronista (li ha analizzati Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera). Oppure, ancora, la serata con Lucia Bellaspiga, altra firma di Avvenire che alla personale dimensione religiosa di Buzzati ha dedicato un paio di libri (da Dio che non esisti, ti prego a E se venisse davvero? ) e nell’incontro del 26 novembre ha parlato de Il cane che aveva visto Dio, «un racconto imperniato su questo cane che gira per un paese dopo che il padrone, strana figura di eremita, è morto e mette tutti in soggezione: si diceva che quell’uomo avesse visto Dio, e quindi anche il cane doveva averlo conosciuto...». Il finale sorprendente e fantastico, come molte delle pagine di Buzzati, è riflesso delle sue domande: «C’è o non c’è, Dio? E se c’è, ci giudica davvero? E come?».

Quell’atteggiamento ostinato, «di rivalsa e quasi di sfida verso qualcosa che non si riesce ad abbracciare fino in fondo, ma di cui non si può fare a meno», che Buzzati aveva verso Dio, trova un’eco singolare anche nel suo amore-odio per Milano, a cui lo scrittore è stato legatissimo pur avendo sempre nel cuore le sue Dolomiti. E l’incontro conclusivo, con monsignor Delpini e la Corradi (e Giorgio Bonino a leggere i brani, così come altri attori negli incontri precedenti hanno prestato le loro voci), «vuole proprio legare questi due elementi: il ragionamento sulla città e la ricerca religiosa», dice Zaccuri.

LEGGI ANCHE La vita di Joyce

Si partirà da due testi anomali. «Il primo è un ritratto di don Zeno Saltini, probabilmente il prete che Buzzati ha amato di più: è il fondatore di Nomadelfia, che in qualche modo è una città ideale, un’utopia realizzata rispetto alla sua Milano, a volte così dura da vivere. È come se l’autore volesse dirci: ma allora si può fare, si può prendere alla lettera questo strano libro che è il Vangelo…». Ma anche l’altro testo, per certi versi, legge il presente: è un reportage scritto dalla Terra Santa, dove Buzzati, da inviato del Corriere, seguì Paolo VI nello storico viaggio del 1964, il primo di un Papa nei luoghi di Gesù. «Racconta della visita al Getsemani, dove Montini prega sulla pietra dell’agonia di Cristo», dice Zaccuri: «Descrive benissimo il marasma che c’è intorno, la folla, il caos. E osserva che sarebbe stato bello se il Papa fosse entrato e avesse pregato da solo...». Impossibile non pensare a Francesco e alla preghiera solitaria del 27 marzo, nella Piazza San Pietro chiusa per Covid. E non restare colpiti una volta di più da questa «sincronia strana per cui un autore vissuto in un’altra epoca, e a prima vista così lontano dalle atmosfere di oggi, in realtà è molto vicino alle nostre attese», dice ancora Zaccuri: «Forse è questa la dimensione emersa con più forza in tutto il ciclo: l’attesa, il desiderio di un imprevisto. Di una sorpresa che possa aprire una finestra nella nebbia. Per Buzzati era fondamentale». Come per noi, oggi.

(Tutte le info e i video degli incontri precedenti sul sito del Centro Culturale di Milano)