La compagnia di mimi ucraini Dekru

La parte libera di quel mondo

Il Teatro Oscar di Milano inaugura la stagione ospitando Dekru, una compagnia di mimi ucraini. Uno dei direttori artistici spiega il perché della scelta
Luca Doninelli

La seconda stagione completa (cioè senza il covid) del Teatro Oscar è alle porte. Inizierà sabato 1 e domenica 2 ottobre con uno spettacolo affidato alla compagnia Dekru, composta da quattro mimi ucraini, quattro artisti di livello assoluto, che si esprimono attraverso il linguaggio universale del corpo.

Parte del ricavato sarà devoluto alla nostra amica Elena Mazzola e all’opera di accoglienza e assistenza che, iniziata in Ucraina, sta continuando in Italia con i rifugiati della guerra.
Vorrei precisare le ragioni della nostra decisione. Io, Gabriele Allevi e Giacomo Poretti abbiamo fatto questa scelta prima di tutto perché lo spettacolo di Dekru è bellissimo. Il teatro si fa con la bellezza.

Ciò non significa che siamo indifferenti a ciò che sta accadendo. L’Ucraina – come, purtroppo, altri Paesi di cui si parla poco – è stata oggetto di un’aggressione insopportabile.

Eppure c’è un dolore, nella nostra decisione di proporre uno spettacolo di una compagnia ucraina, che non va tenuto sotto silenzio, e che ha a che fare con il terribile danno culturale che questa guerra ha prodotto, e che lascerà in tutti noi una cicatrice profonda: per quanto tempo non potremo ospitare artisti russi nei nostri teatri?

Abbiamo conosciuto tutti Lev Dodin, direttore del Malij teatr’ di Pietroburgo, forse il più grande regista teatrale vivente, che nel 2013 fu ospite al Meeting di Rimini, e che per anni ha portato in Italia i suoi meravigliosi spettacoli, come Fratelli e sorelle, Chevengur, Vita e Destino e le meravigliose versioni di Cechov.

Questa insensata guerra ha spaccato in due una cultura immensa, allontanandone da noi una parte. Una cultura che ci è necessaria, come ci sono necessari i suoi scrittori, molti dei quali oggi sarebbero detti ucraini (Gogol’, Bulgakov). Tutti ricordiamo, all’inizio del conflitto, l’annullamento di una conferenza di Paolo Nori dedicata a Dostoevskij in una università milanese.

Il rischio, anche con tutte le migliori intenzioni, di rimanere vittime della cancel culture (la cosa più contraria al senso del bello che sia mai stata inventata) esiste. Al tempo dell’Urss noi leggevamo Puškin e Gogol’, Dostoevskij e Tolstoj, Turgenev e Cechov, Majakovskij e Mandel’stam per alimentarci a una fonte necessaria, e lo facevamo in qualche modo in opposizione al regime comunista che stava soffocando quella fonte.

Oggi potrebbe non essere così. Anzi, potrebbe succedere il contrario. La guerra potrebbe allontanare dai nostri figli, dai nostri nipoti la necessità di quel mondo, di quegli autori, potremmo piano piano sentirli sempre più estranei. .

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Ospitare uno spettacolo ucraino non significa dunque contrapporre la cultura ucraina a quella russa, ma l’esatto contrario. Significa ascoltare la voce che ci viene dalla parte libera di un mondo immenso e bellissimo: una voce che è inevitabilmente l’eco di tutto quel mondo, e che oggi ci parla anche a nome di quelli che, a causa della follia di pochi uomini, non possono più parlarci.

Per queste ragioni, abbiamo voluto che lo spettacolo di sabato 1 ottobre fosse preceduto da un incontro su questi temi con Elena Mazzolae Gianluigi Ricuperati, scrittore molto impegnato su questo fronte, moderati dal giornalista di Tracce Luca Fiore.