Il concerto di Monaco di Baviera (Foto: Roland Altmann)

Monaco. Don Giussani, la musica e la bellezza

Un concerto firmato da International Music Friendship per celebrare il Centenario del fondatore di CL nella capitale bavarese. Ecco come è nato e cosa è successo nelle parole di chi ha suonato
Giovanni Grandi

L’IMF, International Musical Friendship, è una storia di meraviglia cominciata trent'anni fa e che si rinnova sempre misteriosamente. Questa volta è accaduto a Monaco di Baviera, in occasione di un concerto dedicato al Centenario della nascita di don Giussani, lunedì 3 ottobre nella Chiesa di Mariahilf, nel cuore della città.

Parliamo di cinquanta musicisti arrivati da diverse città della Germania, dalla Svizzera, dall’Austria, dall’Italia. C’è anche chi si è coraggiosamente imbarcato su un bus di linea dall’Olanda. Per lo più hanno tra i 17 e i 25 anni, ma tra loro c’è anche qualche adolescente e spuntano un paio di sessantenni, musicisti professionisti, studenti di conservatorio, docenti di diverse scuole di musica e qualche amatore che desidera rimettersi in gioco.
Questa è l’“IMF Orchestracademy”, l’orchestra nata dal desiderio dei ragazzi IMF che, diventando grandi, vogliono continuare l’esperienza di musica e amicizia incontrata in giro per l’Europa e che ha cambiato il loro modo di vivere la musica.
In cartello per il concerto, due brani cari a don Giussani e presenti nella collana “Spirto Gentil”, l’Incompiuta di Schubert e il Concerto per violino e orchestra di Beethoven. Tra questi due giganti, anche un brano di Lorenzo Geroldi, uno dei ragazzi dell’orchestra che ha cominciato a comporre per i suoi amici.

(Foto: Roland Altmann)

La sera del 30 settembre cominciano le prove nell’auditorium del Salesianum di Monaco guidati da Ya-Wen Köhler-Yang, coraggiosa direttrice taiwanese che segue da una decina d’anni le orchestre dell’IMF. E il coraggio non manca nemmeno a Michele Torresetti, amico di una vita che da bambino ha cominciato a suonare il violino in orchestra proprio all’IMF e che ora ha accettato la sfida di fare il solista in Beethoven.
Il tempo è poco, solo tre giorni per mettere in piedi il programma. Ma, anche quando la sera si posano gli strumenti, la musica ricomincia con le voci e i canti di diverse tradizioni.



Il 3 ottobre, giorno di festa in Germania, si va in scena. L’imponente Mariahilfkirche si riempie di persone che rimangono calamitate dalla musica. È una bellezza che si impone, sia nella musica che nei volti di chi suona. Riflesso potente di quella bellezza indicata instancabilmente da don Giussani e che raggiunge oggi anche la vita di questi ragazzi. Ecco cosa hanno scritto due di loro dopo il concerto.




A me piace tanto suonare in orchestra, perché per me è un po’ come dice don Giussani nell’introduzione al Concerto di Beethoven: l’orchestra è come una comunità. È un luogo che genera bellezza, perché prende i singoli strumenti e li fa stare insieme avendo uno scopo comune.
Figuriamoci poi se, oltre allo scopo, c’è anche un’origine comune! Cambia tutto. Il concerto per me è stata anche la festa dell’IMF, perché è una grande amicizia che ha origine - per lo meno per come la sto conoscendo io - da don Giussani e dalla bellezza di Cristo che ci ha fatto incontrare. E quale origine comune si può avere più grande e profonda di questa? Vedere poi cosa ha generato in questi giorni mi riempie di commozione.
All’inizio ero un po’ intimorito dalla responsabilità di Konzertmeister, “primo violino”, che mi avete chiesto, ma allo stesso tempo è una cosa che mi ha caricato tantissimo, soprattutto mi ha dato un gusto incredibile nello studiare i brani. Ma la cosa che mi ha stupito e mi ha aiutato di più in questa responsabilità è stato proprio l’appartenere a una comunità: solo sostenuto da una comunità posso rendere al meglio.
Francesco

Ciò che mi ha toccato e commosso di più in questi giorni è stata la percezione delle persone al mio fianco e un modo insolito di trascorrere il tempo insieme.
In realtà, ci eravamo riuniti per elaborare un programma in breve tempo e preparare un concerto.
Con mia grande sorpresa, tuttavia, non c’è stato alcuno stacco tra il tempo delle prove e il tempo libero al di fuori di esse. Le due serate che abbiamo trascorso insieme con canzoni e contributi personali sono state straordinarie per me. Perché?
Molti di noi, giovani e più avanti con l’età, si sono incontrati per la prima volta e non si conoscevano affatto. Eppure c’era un’attenzione e una comunione nel cantare e nell’ascoltare i contributi personali tra di noi che mi ha lasciato con grande meraviglia.
Ho potuto sperimentare una gioia, una creatività e un’intensità che non si possono produrre, ma a cui si può solo partecipare con gratitudine. Quando all’improvviso alcuni hanno preso i loro strumenti e hanno spiritosamente e argutamente improvvisato un accompagnamento ai canti (con fagotto e tromba, si badi bene!), mi è venuta in mente un’espressione di don Giussani, che attribuiva a ogni momento la dignità del duraturo e dell’eterno: «La densità dell’istante».
Ho provato qualcosa di simile quando, a colazione, alcune persone mi hanno raccontato di essere state in un pub la sera prima e di aver cantato a più voci una drinking song. Poi, a due tavoli di distanza, un gruppo di coristi professionisti inglesi si è alzato e ha cantato Bach a più voci. In risposta, i nostri italiani hanno intonato un canto polifonico degli Alpini e così via... Alla fine, entrambi i "cori" insieme hanno cercato di intonare a memoria l’Ave Verum di Mozart.
Come mi sono commosso quando, poco prima del concerto, tutti si sono riuniti per cantare Alecrim, una canzone popolare brasiliana, prima di entrare in chiesa. O quando, alla fine del concerto abbiamo cantato a più voci Signore delle cime e Non nobis.
Non c’era più separazione tra preghiera e azione concreta, l’una apparteneva inseparabilmente all’altra. Ho capito ancora meglio che ora et labora corrisponde davvero al cuore dell’uomo e lo fa vivere con gioia e libertà.
Tutti noi abbiamo sicuramente donato qualcosa in onore di don Giussani per riconoscenza nei suoi confronti, ma il dono più grande di questo evento è stato certamente fatto da lui: ci ha fatto capire che attraverso il suo carisma voleva aiutare molte persone a sperimentare nel proprio corpo la frase di sant’Ireneo, che citava così spesso: «La gloria di Dio è l’uomo vivente».
Andreas