Don Pigi Banna, Alberto Bonfanti e i quattro ragazzi di GS che hanno fatto la testimonianza

Gioventù Studentesca: amici, non compagni di merende

Un'estate vissuta al massimo che lascia il vuoto dentro, la routine della scuola, l'amico in ospedale. E la domanda: «Signore cosa vuoi da tutto ciò?». C'è tutta la vita alla Giornata d'inizio anno dei liceali di CL
Paola Bergamini

«I ragazzi hanno una grande attesa su oggi. La stessa che ho io». A pochi metri, qualcuno chiama: «Prof, tra poco si entra». «Vado. A dopo». Francesca raggiunge uno dei gruppetti di studenti delle superiori che riempiono il cortile dell’Istituto Leone XIII. L’“attesa” in questo inaspettato caldo pomeriggio milanese è per la Giornata di inizio anno di Gioventù Studentesca. Mentre il coro canta What can I say?, le file dell’auditorium iniziano a riempirsi. Un ragazzo stropicciando il tesserino chiede al compagno: «Ma cosa vuol dire ’sta domanda: “Che cosa abbiamo di più caro?”. E si canta e basta?». «No. Aspetta». «Comunque sono belle le canzoni. Mai sentite!».

«“Io non voglio vivere inutilmente: è la mia ossessione”, ripeteva don Giussani», dice don Pigi Banna agli oltre novecento ragazzi presenti e a quelli collegati da quaranta città italiane e dieci all’estero, persino dal Brasile. «Poi c’è la routine della scuola, dello studio, per cui “mi tappo il naso per cinque giorni e poi rinasco nel weekend”, come ha scritto Agnese». Ma non si può vivere in apnea, sopravvivere. «Non siamo qui per prendere fiato, ma per chiedere il miracolo di respirare. Chiediamolo alla Madonna. Che questo avvenga già da oggi».
La recita dell’Angelus è questa domanda.
Sul palco, un po’ stipati dietro la cattedra, con don Pigi e Alberto Bonfanti, responsabile di GS, ci sono quattro ragazzi. Le loro testimonianze sono il filo rosso di questa giornata.

Andrea racconta di un’estate vissuta al massimo: vacanze di GS, serate, viaggio, Meeting. Non si è fatto mancare niente. Una vera vacanza ciellina. «Ma il ritorno a casa è stato uno dei peggiori. Non era una nostalgia, una mancanza. Era una voragine che non potevo soffocare». Si rende conto che da tanto non prega. «Una preghiera vera, un dialogo con Lui. Avevo fatto “tutto”, ma avevo perso me stesso. Mi sono accorto che stavo vivendo il cristianesimo senza Cristo». Mancava la sua Presenza. Era venuto meno il centro affettivo. Colui che fa cantare la vita. Come è stato per gli apostoli: non capivano tutto, ma Lo seguivano perché rispondeva ai loro bisogni. Non basta fare le cose cristiane in modo formale. Altrimenti il vuoto rimane. «Per questo occorre fermarsi, guardare la propria esperienza e chiedersi: “Cosa ho di più a cuore?”», interviene Pigi.

È la domanda che sente urgere Giovanni, ultimo anno di liceo: «Ho bisogno di chiedermi: “Perché mi importa veramente andare a scuola, alzarmi presto, stare attento, studiare?”». Non basta un buon risultato, avere ottimi voti. «Voglio scoprire cosa c’è per me. Per questo bisogna stare con gli occhi spalancati». E ogni cosa diventa interessante e anche la scuola non è più «il tempio dell’inganno e delle apparenze», come aveva scritto una ragazza. «Con questo sguardo ogni limite diventa l’inizio di un cammino, il gradino di una scala. Uno sguardo da mendicare, perché se fosse per me mi boccerei ogni giorno». Uno sguardo da cercare tra quegli amici che fanno diventare presente la Presenza di Gesù. Un’amicizia attraente.

L'ingresso dell'Istituto Leone XIII a Milano

L’inizio anno per Lorenzo è stato pesante. Dopo un’estate piena e bella, la scuola è solo un ostacolo: interminabili ore da far passare, di cui liberarsi il prima possibile per poter vivere. Poi a un’assemblea di GS alcuni amici raccontano che sono contenti di ricominciare la scuola. «Mi hanno colpito a tal punto da riaccendermi il desiderio che tutto fosse per me». Va da un amico professore che gli dice: «Da parte i lamenti, vivi mettendoti in gioco dentro la realtà per vedere se quello che ci siamo detti all’Equipe e in vacanza è vero». È una scoperta. Ecco gli amici veri. «Non compagni di merende che ti fanno fuggire», spiega Pigi, «ma chi riaccende la tua umanità». Facendola fiorire. E ti senti in sintonia con tutto. E anche il dolore non è un’obiezione.

Come è accaduto ad Anna. A settembre, un amico di GS cadendo da un dirupo entra in coma. I medici danno poche speranze di risveglio e comunque la situazione è molto compromessa. «Da quando è accaduto ogni giorno siamo andati a messa perché era l’unica cosa che potevamo fare», racconta Anna. E ogni giorno chiedersi: «Signore cosa vuoi da tutto ciò? Mi vuoi fregare? Tu ci sei? La giornata era tesa a vedere come il Signore rispondeva». Invece miracolosamente Lorenzo si sveglia. Ma ora che la situazione sta evolvendo positivamente «è un attimo perdere tutto quello che c’è stato». Riprendere a tirare fine giornata. «Ho bisogno di una piccola conversione personale per essere attenta come quei giorni». È la preghiera, come semplice domanda.

«Quando ci manca il senso di quello che facciamo», conclude Pigi, «sentiamo una voragine, ci sentiamo misurati da tutte le nostre riduzioni, da tutte le nostre lamentele, per questo ci riconosciamo ancora più bisognosi, perché non ci possiamo appoggiare a qualcosa che sappiamo o facciamo, ma solo se uno viene da fuori a prenderci, come una grazia, diceva sant’Agostino. Ecco noi siamo insieme perché siamo presi, Lo attendiamo, Lo cerchiamo. E sarà bello vedere come quest’anno ci sorprenderà. Ci farà vivere».

Come è stato per la ragazza catalana di cui raccontano i giessini spagnoli nel volantino scritto sui recenti fatti, che ha spiazzato tutti. «Lo avete trovato sulle sedie. Voglio leggervelo perché è la testimonianza viva di quello che ci siamo detti oggi, la verità diventa un punto di giudizio. Su tutto», dice Alberto. Anche a 16, 17, 18 anni.

La messa è «per rivivere da subito quello che abbiamo visto oggi. Desideriamo mendicare la sua Presenza», dice Pigi poco prima della celebrazione. Il brusio, che dalla fine delle testimonianze via via stava crescendo, cessa di colpo.

Aspettando di uscire dall’auditorium, Luisella si avvicina a un suo alunno: «Allora come è andata? Mi sembri triste». «No, non lo sono. È che da questi incontri esci con la nostalgia di Cristo centuplicata. Forse è questo sentimento che ho dipinto sulla faccia».