GS Argentina. L'incontro e i colori che usa Dio
Cinque giorni sulla Sierra vicino a Buenos Aires per una quarantina di ragazzi delle superiori. Un respiro davanti alle violenze e i drammi in cui sono immersi. E la possibilità di un cambiamento per sé e per il PaeseStrada nazionale 3, quattro del mattino. L’autobus che porta il gruppo di studenti delle scuole secondarie da Buenos Aires e dintorni alla Sierra de la Ventana si guasta. Nessuno dei presenti immaginava che li aspettasse un’attesa di cinque ore, bloccati sulla strada e, apparentemente, “nelle mani di Dio”.
Un inizio di vacanza simile mette certamente alla prova non solo la disponibilità di ciascuno, ma anche la libertà di affrontare la realtà così come viene: l’inconveniente poteva essere vissuto come il preludio di un viaggio sfortunato, come l’anteprima di una serie infinita di contrattempi, invece, in quelle cinque ore di attesa per l’assistenza, ciò che prevaleva era un clima umano di compagnia che preferiva “guardare l’alba” piuttosto che lamentarsi di come avrebbe dovuto essere. La luce che appariva era quella della libertà che permetteva a ciascuno la semplicità di essere più se stesso. Anche nella difficoltà. Loro stessi lo hanno sottolineato più volte, parlando di quella libertà: non si trattava tanto del “fare ciò che volevano”, quanto piuttosto del riconoscere che stava accadendo qualcosa di eccezionale.
Joaquín, per esempio, non smetteva di stupirsi perché i suoi amici erano felici come lui, e si chiedeva cosa lo rendesse possibile: «Ero sorpreso per come questa cosa che stavo vivendo fosse per tutti, e anche per come, di fronte alle necessità di alcune persone e mie, vedessi agire Cristo. Penso ad alcuni che desideravano un’amicizia diversa, e durante queste vacanze è accaduta. Anche quando abbiamo dovuto rinunciare a una delle gite per la pioggia, e si è verificato il bellissimo evento inaspettato della video-testimonianza di Alessandro d’Avenia».
Luján, invece, ha capito che questa libertà di attaccarsi a ciò che la compie, le ha permesso anche di sbagliare: «Ero responsabile dei canti con un’amica e il primo giorno, nonostante fossi stanca, non è stato pesante prepararli per l’introduzione, anche se non sono venuti alla perfezione. In altre parole, ho potuto essere me stessa, stavo bene, senza il pensiero che mi avrebbero voluto meno bene o che avrei fatto una brutta figura». Cecilia, responsabile di GS in Argentina, è stata molto colpita nell’osservare il cambiamento di tanti: «C’era, in ciascuno, una nuova umanità in cui si vedeva la presenza reale di un Altro, perché la nostra volontà da sola non basta: alcuni dedicandosi all’accoglienza dei ragazzi e al pranzo di benvenuto, altri occupandosi delle gite o delle proposte “culturali”, i ragazzi hanno partecipato a tutto ciò che veniva proposto. Per me era come vedere Cristo che camminava lì, in mezzo a noi».
Un pomeriggio di piscina, mate e lavoro per gruppi. «Qualsiasi cosa è un incontro? Quali sono le caratteristiche di un vero incontro?». Queste domande, tra le altre, hanno animato i dialoghi. Prendiamo Enzo, per esempio, il più grande del gruppo, che ha detto di aver trovato negli altri un modo per vivere con più gioia le cose che gli costavano di più, che dentro questa compagnia si è visto aiutato ad affrontare se stesso e i suoi limiti con un cuore più umano. Anche Rosario ha vissuto le sue ultime vacanze estive con GS ed è rimasta sorpresa dalla forza di questa amicizia: «Mi sono resa conto che ci sono molti modi di relazionarsi l’uno con l’altro che io non conosco. Molte volte non ho idea di come curare i rapporti. Lo vedo soprattutto quando litigo con un amico e penso a quanto sia difficile dire: “Anche qui c’è Dio”. C’è una canzone che dice: “Metti Dio al centro”; è come se il Signore mi dicesse: “So che avevi altri amici, ma fammi entrare e riuscirai a risolvere un problema da poco meglio di quanto pensassi”».
Fernando ha percepito l’eco di qualcosa di eccezionale che gli afferra il cuore: «La cosa più preziosa è stata la compagnia. Può sembrare un cliché, ma è qualcosa che va oltre. Questo viaggio è stato un’occasione per capire che la mia vita può e deve andare oltre la superficialità di tanti rapporti quotidiani. È stata un’occasione che Dio mi ha dato per ricominciare da capo con nuove amicizie, quelle in cui si può essere se stessi al cento per cento». Simon, a sua volta, è rimasto colpito dai giorni insieme: «Mi è piaciuto fare tante cose con i miei amici. Le stesse che posso anche fare con altri, è vero. Ma con altri non succede mai di rifletterci dopo, di mettere in relazione ciò che abbiamo fatto con le cose che ci accadono ogni giorno».
Due dei gesti che hanno segnato gli ultimi pomeriggi sono stati lo spettacolo teatrale che raccontava l’incontro di san Francesco d’Assisi con il Sultano Al Kamil e il video della testimonianza di Alessandro D’Avenia su tre incontri che lo avevano colpito nella sua adolescenza. Giornate ricche, durante le quali Julieta e Luigi, che non si vedevano da un paio d’anni né a scuola né alle vacanze, si sono incontrati di nuovo. Julieta lo ricordava mentre dormiva alle sue lezioni di religione. Eppure in quei giorni ha visto un giovane nuovo: «Vedo il suo cambiamento e credo che incarni il tema di queste vacanze: anche per lui tutto è iniziato con un incontro. E questo mi dà una speranza straordinaria. Per me questa amicizia è la speranza dell’Argentina. Sembra esagerato, ma è così. Non so se un gruppo di adolescenti normalmente torna così felice da alcuni giorni trascorsi insieme facendo cose semplici: una gita, giochi, assistere a un’opera teatrale... Questa amicizia parla di un Altro».
Per Luigi, il dialogo con Julieta e Águeda, un’altra prof, è stato fondamentale: «Quando Julieta ha detto che ciò che mi era accaduto era un fatto concreto, che Dio era con me, mi ha fatto riconoscere che grazie a quel primo incontro, a quel mio sì, e grazie alle persone che costantemente mi “generano”, posso vivere ancora più intensamente. Se una cosa del genere è accaduta, può accadere di nuovo tante altre volte, al punto che anch’io posso generare una novità negli altri».
La testimonianza di D’Avenia ha colpito tutti al punto di accendere dialoghi pieni di domande sulla vita e ha permesso di rimettere a fuoco la questione del “chi sono io” e “che storia ho da raccontare”. Non si può raccontare ciò che non si ha, ma la propria esperienza, la propria vita. Águeda ha sottolineato un punto chiave: «Quante volte, invece di pensare alla “storia che sei venuto a raccontare” per dare il tuo contributo al mondo, ti lasci portare da ciò che “bisogna fare”. È facile, anche quando si fanno cose giuste, dimenticare se stessi e ciò che si vuole. Per questo mi è piaciuto, durante l’assemblea, sentire i ragazzi che dicevano: “Io voglio essere quello che ci mette i colori affinché Dio dipinga la sua immagine con la mia vita”. Ho scoperto in me lo stesso desiderio che hanno loro».
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Finita la vacanza ciascuno è tornato alla vita quotidiana. Ad attendere i ragazzi, le stesse strade, le stesse case, le stesse facce che avevano lasciato. Solo che loro non erano più gli stessi: era accaduto qualcosa. Come dice la Scuola di comunità, «sperimentare una reale corrispondenza al nostro cuore è una cosa assolutamente eccezionale. Dovrebbe essere normale nella vita; e invece non capita mai; quando capita, ciò costituisce un’esperienza eccezionale». Allora non resta che domandare che succeda ancora, che Lui accada di nuovo.
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