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Affinati: «Educazione, la responsabilità dello sguardo»

Scrittore e insegnante, ha fondato a Roma la “Penny Wirton”, una scuola di italiano gratuita per immigrati. Oggi racconta il periodo del lockdown. Alla vigilia dell'incontro con Carrón del 30 gennaio, si confronta con la lettera dei professori di CL
Eraldo Affinati

Dobbiamo continuare ad avere fiducia nei nostri studenti e nei nostri docenti: mi pare questa l’indicazione essenziale che emerge dalla lettera di un gruppo di insegnanti e educatori di Cl pubblicata sul Corriere della Sera del 10 gennaio scorso. Come non essere d’accordo? Troppo spesso il tema della didattica a distanza viene usato in modo divisivo, mentre invece dovrebbe essere chiaro a chiunque che stiamo parlando del bene comune per antonomasia, l’istruzione nazionale, da sottrarre a qualsiasi strumentalizzazione.

Fermo restando l’insostituibilità delle lezioni in presenza, a cui tutti vogliamo tornare, sarebbe vano continuare a registrare l’insoddisfazione per quelle digitali. Si tratta di una scelta tesa verso il male minore, all’interno di un delicato e complesso sistema sociale che chiama in causa le aule, i trasporti, gli indici di contagio, l’organizzazione familiare. Cerchiamo di ricavare quanto possiamo dalla condizione drammatica nella quale ci troviamo. Poniamo in evidenza, nello smarrimento di oggi, coi tanti problemi legati alla disuguaglianza tecnologica e alla dolorosa crescita della dispersione scolastica, la consapevolezza di coralità che sta maturando negli adolescenti e negli adulti: se, quando tutto sarà finito, non avremo dimenticato questo sentimento di unità nella tempesta, avremo messo a frutto la terribile esperienza della pandemia. È importante sottolineare lo sgomento degli insegnanti, di qualità diversa, ma non molto lontana dal disagio provato dagli alunni. Mi ha colpito un passaggio presente nella lettera: «Come stare davanti a un ragazzo che ha perso un parente per l’epidemia, o che ha smesso di venire a scuola perché si è lasciato divorare dall’apatia e dal disinteresse?».

Eraldo Affinati (Foto Massimo Quattrucci)

È una domanda che nasce quando non ti accontenti di svolgere il mansionario, ma entri in relazione profonda con la persona davanti a te. Se non sentissimo l’impulso a rispondere a tale richiesta interiore, come professori saremmo ancora incompiuti. In tale prospettiva anche la dimensione informatica può offrire spunti preziosi. Nei giorni scorsi Letizia Perticarini, una volontaria della Penny Wirton per l’insegnamento della lingua italiana agli immigrati, ci ha raccontato una sua lezione in videochiamata fra Bari, dove lei si trovava, Roma, nella casa-famiglia di Jabar, il suo studente, e il Senegal, luogo di transito di Matar, mediatore culturale, che affiancava entrambi sempre su WhatsApp. Ho chiesto a “Letiziar”, com’era stata affettuosamente soprannominata dai due immigrati, cosa le avesse suggerito tale esercizio. «Manca il corpo a corpo», mi ha detto: «Quell’esperienza tattile che caratterizzava i nostri incontri in presenza, ma l’esperienza sensoriale che la Dad ci sta facendo ri-scoprire, è altrettanto importante e utile a creare valori e diventare un nuovo modello di impegno sociale ed etico».

L’udito, la vista e la voce, in effetti, non sono meno significativi del tatto e dell’olfatto. Questo scoprire le carte, questo lavorare, tutti noi, nella responsabilità dello sguardo altrui, resi autentici dalla tragedia sanitaria e dalla forzata reclusione domestica, potrebbe spingerci persino a riflettere sui meccanismi a volte automatici della valutazione: che a mio avviso non può ridursi al mero bilancio delle competenze acquisite o mancate.

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C’è infine un altro aspetto della lettera pubblicata sul Corriere delle Sera che sento mio: quello relativo all’incarnazione dei contenuti. Nessun educatore può limitarsi ad essere uno spartitore di traffico concettuale: specie adesso è necessario ritrovare le ragioni profonde della nostra vocazione mostrando a chi ci sta di fronte, seppure soltanto sullo schermo del computer, che stiamo facendo sul serio perché crediamo davvero di poter incidere, nel nostro piccolo, sulla storia del mondo. Il Covid alla fine passerà, i problemi della scuola resteranno aperti, ma se noi avremo compreso questo, usciremo dal tunnel migliori rispetto a come ci siamo entrati.