Gigi De Palo (Catholic Press Photo)

Profumo di famiglia

Il nuovo calo di nascite che aggrava l’“inverno demografico”. Che cosa è la povertà generativa? E cosa risponde? In occasione dell’Incontro Mondiale delle famiglie, riproponiamo un'intervista a Gigi De Palo (da Tracce di giugno)
Paolo Perego

Sono 399.400 i nati in Italia nel 2021. Il dato peggiore dal secondo Dopoguerra. Una tendenza che, se invariata, arriverà a 300mila nel 2050. «Un asteroide pronto a colpire la terra, come nel film Don’t Look Up. Solo che nel nostro caso, qualcosa si può fare!», spiega Gigi De Palo, 45 anni e cinque figli, riprendendo il titolo della seconda edizione degli Stati Generali della Natalità. I rischi per il Paese sono reali, dato che per garantire il ricambio generazionale servirebbero almeno 500mila nascite all’anno.

«Abbiamo invitato a parlarne ministri, segretari di partito, docenti universitari, ceo di grandi aziende e manager di banca, attrici, influencer, giornalisti. Perfino calciatori… A patto che raccontassero il loro essere genitori o figli», dice De Palo, guida del Forum delle associazioni familiari e della Fondazione per la Natalità, promotori degli Stati Generali, alla sua seconda edizione. Sono temi cruciali anche per il Papa, come ha detto nel messaggio che ha indirizzato al convegno, certamente con un occhio buttato al X Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolgerà a fine giugno: «Questa è una nuova povertà che mi spaventa. È la povertà generativa di chi fa lo sconto al desiderio di felicità che ha nel cuore, di chi si rassegna ad annacquare le aspirazioni più grandi, di chi si accontenta di poco e smette di sperare in grande».

Cosa è accaduto agli Stati Generali?
Intanto mi ha colpito che c’è sempre il desiderio di raccontarsi. Come quando parli agli amici di un figlio che fa i primi passi. La due giorni ha mostrato la gioia di condividere la bellezza educativa che è di tutti: politici, imprenditori, gente comune, attrici. Al netto della discrezione, del voler preservare la sfera intima nel dibattito pubblico, a un genitore, che si tratti di cose belle o brutte, brillano sempre gli occhi quando parla di un figlio. Questo l’ho visto in tutti quelli intervenuti.

Ti sorprende?
Nel preparare gli Stati Generali, abbiamo scommesso proprio su questo comune denominatore. Abbiamo invitato gli ospiti a una condizione: ciascuno è libero di dire quello che vuole, purché racconti cosa gli fa battere il cuore quando parla di figli. Perché lo scopo è raccontare a chi ascolta, soprattutto ai ragazzi, che nonostante le difficoltà ne vale la pena. Che la genitorialità ti migliora, che la nascita di un figlio ti tira fuori energie insospettabili. Che puoi essere molto di più di quello che pensi, se ti apri alla vita.

Natalità in calo. Tutti, politici compresi, hanno riconosciuto il problema. Ma come lo si affronta?
Non combattendo un tumore con gli antidolorifici. È vero, tutti riconoscono il problema. E per quanto siano cose buone non si risolve solo intervenendo sull’Isee o con il Family Act, tra congedi parentali, nuovi asili nido e quant’altro. Ma perché non mettere mano anche alle risorse del Pnrr e calibrarle in funzione dei giovani, per sostenere la possibilità di far famiglia?

Ma c’è un problema prima: i giovani hanno il desiderio di avere figli?
I dati dicono che in Italia il tasso di natalità è di 1,2 figli per donna, per quanto mediamente le donne italiane ne vorrebbero due. Quindi c’è un delta tra desiderio e realtà. Un altro studio, poco tempo fa, evidenziava che il 94% dei giovani intervistati, tra i 18 e 24 anni, come priorità per il futuro indicavano lavoro, famiglia e figli. Quanti figli? L’80% aveva risposto 2 o più. Questo dà la “cifra” di quanto stiamo dicendo. Certo, viviamo nella realtà, e sappiamo che gli aspetti economici incidono e, se non riesci a lavorare, a fare un mutuo… Questo “abbassa” il livello dei sogni dei ragazzi. Ma allora il problema non è fare figli, ma mettere le giovani generazioni nelle condizioni di realizzare i propri desideri. Se applicassimo le politiche fiscali di Germania e Francia, avremmo tassi di natalità più elevati, per esempio. Parlano i dati, non io: c’è più desiderio di famiglia e figli in Italia che in Francia, dove però il tasso di natalità è di due figli per donna. Allora, dico io, proviamo a togliere l’alibi economico. La seconda causa di povertà, dopo la perdita del lavoro, è la nascita di un figlio. Eppure siamo in un Paese che vuole invertire la tendenza demografica negativa…

Da dove si parte per questo?
Da quel denominatore comune di cui parlavo. In Italia ci sono temi che possono unire al di là delle divisioni di posizione. La famiglia è uno di questi. Fino a poco tempo fa, e ci metto dentro anche noi cattolici, si è sempre insistito sulle differenziazioni con un approccio “ideologico”, diciamolo così, alla famiglia che porta agli schieramenti. Invece, parlare come ne abbiamo fatto unisce. Lega il politico, il dirigente e lo studente, la mamma attrice e il banchiere. Fa saltare tanti schemi del passato. A cascata, poi, arriverà anche il parlare dell’investimento sui giovani e del futuro. Ma prima bisogna cambiare la narrazione… Tante volte abbiamo trasformato la famiglia in qualcosa solo da difendere e non da raccontare. Lo dice il Papa nell’ Amoris laetitia, al punto 37: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme».

Tradotto?
Difendi la famiglia se la racconti, se ne mostri la bellezza. Io non conosco nessuno che si è sposato perché la famiglia fondata sul matrimonio è la cellula fondamentale della società o perché è scritto nella Dottrina sociale della Chiesa. Conosco persone, invece, che hanno deciso vedendo altre famiglie. Come è accaduto anche a me, a cena da amici con Anna Chiara, mia moglie. Era un “macello”, ma lo abbiamo desiderato anche per noi e per tutta la vita. Ne avevamo gustato il sapore, sentito il profumo.

Il profumo di famiglia, ne parli spesso…
Ne parla il Papa. Mi viene in mente un personaggio del film Disney Pixar, Ratatouille, di cui un mio figlio era fissato: un critico che deve recensire e stroncare a tutti costi un ristorante. Ideologicamente, diremmo noi. Ma poi assaggia la ratatouille, piatto tutt’altro che ricercato, e quel sapore gli uccide l’ideologia, i preconcetti, mentre rivive la sua mamma, la sua infanzia, la sua vita. Quel sapore apre a molto di più. Se io ti metto su un vassoio farina, olio, lievito, acqua e sale e ti dico «senti che buono il pane», tu mi prendi per matto. Ma davanti a una pagnotta calda, appena sfornata… Davanti a quel profumo, ti verrebbe il desiderio di riassaggiarlo, di sapere gli ingredienti e come lo puoi rifare anche tu. Il cristianesimo è così, si comunica per attrazione. Idem la famiglia. Non puoi raccontarla partendo dalle questioni dottrinali, bioetiche o morali. Piuttosto, è un profumo che può generare desiderio. Ma non stiamo inventando nulla: «Maestro, dove abiti?». Giovanni e Andrea avevano visto qualcosa di eccezionale che li attraeva. È la storia più bella del mondo, e ogni battezzato è chiamato a raccontare quanto è bello tutto ’sto “casino”. Perché, tornando alla famiglia, è così davvero. A volte è il Mulino Bianco, altre volte è la periferia di Calcutta... Non è bella perché tutto va bene. Bella è la complessità, bello è il perdono.

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Cosa permette di avere questo sguardo?
La consapevolezza di ciò che sei e di quello che hai tra le mani. La coscienza di essere un poveraccio – e non è finta umiltà, perché due bocciature, inutili allora, oggi mi fanno sentire sempre in difetto davanti a chi incontro – ti fa essere aperto, accogliente, davanti a chiunque. E poi come fai a guardarti senza accorgerti di quanto sei stato e sei amato? È questo che determina anche l’impegno che io e mia moglie mettiamo in quello che facciamo, anche se mai riusciremo a pareggiare il conto. Quello che ho tra le mani oggi è molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. E ce l’ho davanti tutti i giorni. Non è che sono bravo o sono un santo. Ogni mattina mi tocca pregare: «Signore, sono un poveretto, ma tu stammi vicino».

Hai parlato di amore, una parola che apre anche il titolo dell’incontro del Papa con le famiglie: “L’amore familiare: vocazione e via di santità”.
Sì. Da una parte il titolo mette a tema proprio la narrazione della famiglia, quello che dicevamo prima del “profumo” e dell’ Amoris laetitia. Dall’altra, si parla della vocazione alla santità di ciascuno. Ancora una volta, è un invito a guardare la realtà. Mi spiego. Ci interroghiamo tanto sui matrimoni che crollano, sui problemi dei giovani d’oggi. Più spesso si cerca il capro espiatorio: la questione culturale, le lobby, i social network... Invece qui il suggerimento del Papa è a rendersi conto di cosa accade nella quotidianità. Mamme e papà che fanno i salti mortali tutto il giorno per i figli. Non danno forse la vita? O chi accompagna una moglie o un marito a fare la chemioterapia ogni giorno… «Santità della porta accanto», la chiama il Papa. Narrazione nuova della famiglia e santità della porta accanto sono collegate. Questa è la sfida del 26 giugno. È un cambio di metodo che il Papa ha indicato fin da subito, nell’ Evangelii gaudium: è il primerear di Gesù.