Erminia e, di fianco a lei, Rino con alcuni amici

Milano. Erminia, la Sla e il bacio di Rino

Settantacinque anni, tutto dedito alla moglie e alla malattia che la accompagna da qualche anno. Intorno a questa croce, un mondo di amici, operatori, realtà assistenziali. E il conforto «di poter toccare ogni mattina la provvidenza»
Alessandra Stoppa

In un anonimo palazzo della zona Nord-Est di Milano, secondo piano, la casa di Erminia e Rino si apre a decine di volti, da anni. La sofferenza tenterebbe di chiudersi, mentre qui c’è un via vai di vite intorno alla loro, che nel 2011 è cambiata radicalmente.

La diagnosi di Erminia è arrivata dopo mesi di accertamenti per capire cosa avesse. "Sla": sclerosi laterale amiotrofica. Il decorso della malattia è stato veloce e oggi è immobile su una grande sedia a rotelle in soggiorno: non parla, non si muove, la mente presentissima, comunica con lo sguardo e le espressioni di un volto giovane anche se ha 71 anni. Rino ne ha quattro in più, ma «mi tengo in forma grazie all’Erminia», dice: «Non posso mica fare il pensionato normale!». Racconta di questi anni insieme, dei passi, gli aggravamenti, gli incontri, gli imprevisti, e di tanto in tanto si interrompe: «Vero, gioia? Gioia bella...», si alza e le accarezza il viso. Lui le parla, lei non può rispondere, da quando non riesce nemmeno più ad usare il comunicatore, ma sente tutto e si emoziona, arrossisce, piange, sorride.

«Quando questa croce è arrivata, l’abbiamo accettata. L’abbiamo abbracciata, consapevolmente, serenamente», dice Rino con naturalezza, senza il bisogno di troppe spiegazioni: «Non è che improvvisamente ci siamo incavolati con il Padreterno... Per tutta l’esperienza in cui siamo». L’anno prossimo è il cinquantesimo del loro matrimonio, si sono conosciuti nel gruppo giovani della parrocchia, poi hanno incontrato il movimento, lei al liceo, lui all’università, e non hanno più lasciato il cammino. «Allora», continua Rino, «abbiamo accolto questa prova cercando di trarne un vantaggio per la nostra vita. Anche se in una grande sofferenza. Per lei, grandissima. Sia fisica che morale, perché dipende in tutto e non può nemmeno dire di cosa ha bisogno». Tutto con lei passa dal mettersi in relazione, tesi e attenti a ogni particolare.

All’inizio i due figli erano preoccupati di quanto potesse vivere. Il papà ha detto solo: «Nessuno si può azzardare a fare previsioni. Facciamo del nostro meglio e affidiamoci a Dio». Dopo la Peg, l’alimentazione con il sondino, presto è arrivata la drammatica scelta: la tracheotomia. Al colloquio decisivo, il primario e la psicologa chiedono a Erminia cosa voglia fare, perché tanti pazienti la rifiutano e ricorrono alle cure palliative, per le condizioni limitate in cui precipita la vita e anche pensando ai familiari e all’assistenza. Lei guarda Rino: «Tu, te la senti?». Lui: «Ma che domanda è? Certo che sì!». E la decisione per lui è stata chiara da subito: «Costi quel che costi, io voglio che sia a casa con noi». Anche se è molto complesso, più di quanto si possa immaginare. Ma è così che hanno visto muoversi un bene senza limiti di tempo, spazio, modalità.

«Nei primi periodi», racconta, «mi sono abbastanza chiuso. Facevo il tutto e per tutto, e accumuli, accumuli... Finisci che ti arrabbi con te stesso e anche con il malato... Sono andato in crisi». E semplicemente si è detto: «Se vado avanti così, mi ammalo anche io e non posso più prendermi cura di lei. Devo cambiare. È una situazione che ti interroga così tanto che dici: ho bisogno. E ho deciso di farmi aiutare». La cosa fondamentale e non scontata per loro è che «la nostra comunità non è sparita. Gli amici, della fraternità e non solo, ci stanno accompagnando in tanti modi. Alcuni non se la sono sentita, o hanno già i loro problemi, ma ci sono amici che vengono a trovarci, altri che non potendo dare il tempo ci accompagnano con la preghiera, altri con aiuti economici per le tante spese da affrontare. Altri ancora vengono, da anni, ogni settimana. La continuità mi impressiona: sai, uno fa una cosa per due, tre volte... Ma la continuità è essere inchiodato alla croce, con i chiodi dentro, e stare lì, come ci è stato Gesù Cristo».

Ogni mese, grazie alla disponibilità di alcuni sacerdoti, don Egidio Villani, don Franco Berti e don Gianluigi Panzeri, viene celebrata in casa loro una messa insieme a tutti gli amici. «Perché è l’inizio e l’arrivo di tutta la compagnia che ci fanno», spiega Rino. Tutti dicono che lui è cambiato tantissimo, in questi anni. E lui replica subito: «È solo che il Padreterno ha un po’ trasformato il mio approccio. Per darmi la pazienza e la fede che servono per ciò che desidero, stare con Erminia». Nel tempo, accompagnando altre famiglie con malati di Sla, ha visto spesso situazioni tanto difficili, di solitudine, o in cui i parenti non riescono ad accudire il proprio caro. E lui pensa a come i medici del Centro Nemo, per le malattie neurodegenerative, ad ogni visita si stupiscano perché la pelle di Erminia, così delicata, è curatissima e senza piaghe, nonostante le condizioni. «Abbiamo tanti aiuti, anche persone della parrocchia dei Santi Nereo e Achilleo, che vengono in modo sistematico. E, nel tempo, ho organizzato una assistenza professionale 24 ore su 24», dove si alternano gli assistenti Sla e gli operatori della Fondazione Maddalena Grassi. Gli amici vengono e le fanno compagnia raccontandole quello che succede, leggendo il Vangelo, Tracce, un bel giallo... Intanto lui va a fare le commissioni, si tiene in forma con il tango argentino e si occupa dei tanti impegni che sono fioriti in questi anni: l’Aisla, l’associazione dei malati di Sla, o la fondazione Luvi, che si occupa della formazione degli assistenti. In questi anni Rino ne ha conosciuti tanti, peruviani, ecuadoregni, moldavi, ucraini... Si coinvolge con loro, che «spesso hanno storie personali molto complicate, per la lontananza dalle famiglie, per le difficoltà». Condivide la loro vita e mette anche in relazione i bisogni che incontra, nel quartiere ma non solo, così nascono occasioni di lavoro e di amicizia.

«Ci sono così tanti piccoli miracoli. Quando ti fermi e guardi, dici: ma come fanno, tutte queste cose, ad essere?». Questo permette di fare quel che sarebbe impossibile. Tenere Erminia in casa o portarsela per un mese in montagna, a Barzio. «Qualcuno mi chiede se sono impazzito!», ride: «Io non so come ogni anno questa cosa stia in piedi, ma sta». Significa fare un trasloco, con tanto di mobiliere, smontare il letto i macchinari e rimontarli su, e organizzare i turni e tutto il resto. Ma così Erminia può stare sul balcone e intravedere lo spettacolo della Grigna e la Grignetta.

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È ora di andare a letto. «Abbiamo il sollevatore al soffitto, con un po’ di tecnica la facciamo coricare. Come un bel sacco, vero gioia?». Quando gli si chiede che significato ha per lui tutto questo, Rino va al sodo: «Noi abbiamo il conforto e la sicurezza di toccare tutte le mattine la Provvidenza. Ogni giorno è così: qual è il problema di oggi? Facile o difficile, il Padreterno ci aiuta ad affrontarlo». E soprattutto «ogni mattino lei mi fa un bel sorriso, e quel sorriso lì...». Non finisce la frase, si alza e le bacia la fronte.