Ramziya con il marito Dima (a sinistra) e alcuni alunni

Kazakistan. Sempre più amico

Ramziya, nata in una famiglia musulmana, ha incontrato il movimento 25 anni fa attraverso due insegnanti. Oggi l’inizio riaccade per lei negli occhi dei suoi alunni (da "Tracce", ottobre 2022)
Ramziya Saleyeva

Sono nata e vivo in Kazakistan, che per anni ha fatto parte dell’Unione Sovietica. La maggior parte del popolo nel nostro bellissimo Paese è musulmano. Ed è composto da più di centotrenta etnie. Io sono di origine tatara, vengo da una famiglia musulmana per tradizione. Quando nel 1998 ho incontrato la novità della fede – attraverso due facce, assolutamente diverse, di due cristiani, due insegnanti di italiano che si chiamano Edoardo e Claudio – mi sono sentita cambiata io, ho sentito che è entrato un altro mondo nella mia vita. I miei genitori – io sono figlia unica – si sono accorti per primi del mio cambiamento. Mi lasciavano andare da questi amici non sapendo che fossero cristiani, ma perché ero così cambiata che mi dicevano: «Vai pure, stai con loro, ti vediamo sempre più aperta, più felice». Quando hanno scoperto che si trattava di cristiani – trovando nella mia camera Il senso religioso di don Giussani – si sono spaventati, pensavano che fossi finita in una setta e hanno cominciato ad ostacolarmi, perché secondo loro contraddiceva la mia tradizione musulmana. Ma io ero già così presa, conquistata, che nessuno poteva fermarmi, neanche il dolore dei miei genitori e tutti gli impedimenti che cercavano per “proteggermi”. Nel tempo, mi sono accorta che questo loro dolore e questa loro posizione – questo loro scandalo, direi – a me è servito molto, perché è stato come una sfida: mi ha costretto a domandarmi davvero che cosa e chi avessi incontrato in quei volti. Ci sono voluti un po’ di anni per scoprire Chi ho incontrato, Chi mi è venuto incontro e per chiamarLo per nome.

Racconto l’inizio della mia storia, perché io faccio l’insegnante, insegno italiano ai nostri “kazakini” e vedo il loro entusiasmo, il brillìo dei loro occhi, che mi rimanda all’origine del mio cammino: mi rendono presente il mio inizio. Mi rendo conto che la bellezza, attraverso l’insegnamento dell’italiano, è di altro: «Tu non ci insegni semplicemente la lingua italiana, ci insegni molto di più». E divento consapevole anche di non essere io a costruire, a “fare” il movimento: io sono strumento nelle mani di Colui che mi è venuto incontro nel 1998, e che mi afferra in continuazione. Sono sempre più grata, sempre più commossa del fatto che Cristo non mi molla, facendomi questi regali e mostrandomi che il benedetto carisma di don Giussani è vivo, continua a vivere.

Io ho visto don Giussani solo una volta nella mia vita, ma sto scoprendo che mi è sempre più amico, sta diventando sempre più familiare, mi fa compagnia ogni giorno attraverso tutta l’eredità che ha lasciato nei libri, negli sguardi dei miei amici, quelli più vicini e quotidiani come quelli che vivono lontani. È lui vivo attraverso il mio sì davanti alla sete dei ragazzi che incontro, attraverso il loro cuore che sobbalza quando vede che la loro vita sta cambiando come è cambiata la mia vita tanti anni fa.

I miei genitori, all’inizio, soffrendo molto, non hanno voluto partecipare al mio matrimonio in Chiesa, né sono venuti al Battesimo della nostra primogenita, né a quello della seconda figlia, che è nata con dei problemi di salute. Ma sono venuti al Battesimo della terza figlia. Lo dico perché non sono io che con loro “costruisco” qualcosa: loro vedono come viviamo la comunione con i nostri amici e si lasciano affascinare, hanno aperto la loro casa per i nostri amici e io sono certa che così il buon Dio li sta abbracciando. E questo per me è vivere il movimento. Dire di sì all’attrattiva di Colui che ci raggiunge in continuazione.

I ragazzi che incontro nel mio lavoro, oggi come in tutti questi anni, sono anche loro di diverse etnie e tradizioni: musulmani, buddisti, atei, ortodossi… Vengono a studiare la lingua italiana, ma accade che trovino il senso della vita. Durante questa estate appena trascorsa, alcuni di loro sono venuti con me in Italia a fare un viaggio, in cui siamo stati accompagnati da Claudio, il mio ex professore con cui tutto è iniziato. Abbiamo vissuto due settimane insieme, attraversando l’Italia da Milano fino a Napoli, e siamo tornati più amici, più compagni nel cammino della vita. Questo è un piccolo messaggio tra quelli che ho ricevuto, e che mi ha scritto, quando siamo tornati, una ragazza che si chiama Aziza: «Carissima Ramziya, voglio ringraziare per questo viaggio vissuto insieme. Ho deciso, quando sono tornata, di dedicare del tempo per prendere coscienza di quello che ho vissuto con voi. Addirittura ho provato una certa tristezza e una nostalgia molto forte in questi giorni, ma sono grata all’Altissimo, a te, a Dima, a Claudio… di tutto quello che è accaduto a noi e per tutto quello che ha generato in noi e nelle nostre anime. Guardandovi, mi rendo conto che è proprio così che bisogna vivere, e si può vivere così, per me e per tutti gli altri, per tutto il mondo. Grazie per la luce che portate dentro, e che portate al mondo, per l’amore incondizionato, per la cura che vi prendete delle persone. Mi dispiace solo di non avervi conosciuto prima. Ma ognuno ha i propri tempi, e sono davvero felice di avere incontrato delle persone come voi nella mia vita. Sono felice di aver potuto vivere questo pezzo di strada insieme, in un modo così felice e totalizzante». Quando ricevo messaggi così, mi viene da inginocchiarmi davanti a Colui che mi permette di vivere una vita che si può comunicare davanti a tutti questi ragazzi, davanti a giovani o adulti, come una mia alunna di 57 anni, che si chiama Galia. Quando la guardo, mi domando: cosa posso portare io a una donna più adulta di me? Posso solo vivere questa passione, questa novità che ho incontrato nella mia vita.