Un momento della serata (foto di P. Bonfanti)

Se la Bellezza passa tra la Luna e l'abbazia

Un evento per raccogliere fondi per un progetto Avsi alle porte di Milano. Un percorso tra i chiostri e i mattoni di un antico convento, per arrivare a guardare il cielo con i telescopi... «Un paradigma dell'unità che desideriamo per la nostra vita»

«La bellezza accade senza chiederci il permesso, sfidando ogni scetticismo e se uno è attento può intercettarla». Colpiti da queste parole di Carrón agli ultimi Esercizi della Fraternità, con alcuni amici abbiamo deciso di organizzare una Tenda per Avsi all’Abbazia di Mirasole, vicino a Opera, alle porte di Milano, il cui ricavato sarebbe andato al progetto italiano delle Suore di Carità dell’Assunzione.

Il gesto è nato da “strana” amicizia tra persone che arrivano da storie molto diverse, per qualcuno fatta di fede, per qualcun altro fatta di passione per il cielo, i pianeti e, soprattutto, per la vita. Durante i mesi di preparazione presso l’antico convento, partendo dalla domanda su che cosa ci aiutasse a cogliere nel quotidiano quella bellezza di cui parlava Carrón, ci siamo accorti che guardare il posto in cui eravamo, ripercorrendo i tempi e i luoghi della vita monacale, poteva essere una strada per scoprire la risposta. È nata così l’idea di proporre un percorso attraverso i momenti che scandiscono la vita quotidiana - l’alba, il giorno, il tramonto e la notte - per ricordare e sperimentare che ciò che tutti desideriamo è l’unità della vita.



Appuntamento fissato per sabato 14 settembre, alle 18. All’accoglienza si sono registrate più di trecento persone: ci hanno sorpreso non solo per il numero, ma anche per l’attenzione e la disponibilità con cui hanno partecipato e si sono messe in gioco. «Un Avvenimento», ha detto uno di quelli che era lì. A partire dalla provocazione iniziale fatta a tutti: la possibilità e il desiderio di fare oggi l’esperienza della Bellezza con la B maiuscola. Da qui anche il titolo della serata, “Voglio la Luna!”.

All’inizio, a gruppi si è ripercorso il ciclo della giornata dei monaci che abitavano a Mirasole, cercando di cogliere ciò che, dentro i particolari del vivere, mostrava l’unità. Prima tappa, l’alba e la chiesa abbaziale, racconta un amico: «Siamo entrati in silenzio cercando di lasciare spazio a ciò che sarebbe accaduto: la storia dei monaci, il valore del tempo scandito dalle ore della giornata, l’insegnamento di un canto a due voci... L’ascolto, il guardare e il fare erano l’esercizio chiesto a tutti a tutti. Quindi, spostamento nel fienile, per vivere il tempo del giorno tra i rumori e le immagini del lavoro. Un’amica ha letto un brano di Péguy sul lavoro e la felicità dell’uomo. Un testo di altri tempi, ma pareva fosse stato scritto il giorno prima per la sua attualità».

Al “tramonto” abbiamo trovato ad accoglierci la testimonianza di alcune Suorine del Martinengo che ci hanno parlato del carisma da cui è nato il loro ordine e del perché abbiano chiesto ad Avsi un aiuto per il progetto “La casa allargata per condividere i bisogni”. L’incontro con loro ha sorpreso tutti, anche noi organizzatori, rilanciandoci sul valore del gesto che stavamo vivendo.

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Dopo la cena sotto al porticato della “corte grande” c’è stata la prima teatrale dello spettacolo “La notte che ho visto le stelle”, scritto e diretto da Laura Massari con la compagnia “La Straniera”, liberamente ispirato a Vita di Galileo di Brecht. «Una grande sfida: stare davanti a un uomo, che, con tutti i suoi pregi e difetti, non poteva non fare i conti con la verità di ciò che vedeva», ha commentato Christian: «Quante volte sappiamo già cosa è giusto e per questo non siamo disposti a metterci in discussione di fronte a qualcuno che incontriamo?». Il finale dello spettacolo è stato come la ciliegina sulla torta, dopo tutte le provocazioni che la giornata aveva fatto emergere: tutti a guardare la Luna con telescopi, ma diversi, cambiati. E pieni di stupore per tanta bellezza.

A fine serata, Davide, uno degli organizzatori, ha salutato tutti: «Abbiamo fatto un'esperienza, che non vuol dire solo "fare e provare delle cose", ma percepire il filo rosso che le tiene insieme. E questo non può che essere un'ipotesi di sguardo su tutto ciò che accade nelle nostre vite».

Giulia, Milano