La fermata di via Palestro a Milano

#giornatatracce. «C'ero anche io, che non lo avrei mai fatto »

Mattia è un giovane medico. Al lavoro preferisce non sbandierare l'appartenenza al movimento. Ma l'amicizia nata alla Scuola di comunità è «una rivoluzione copernicana». Così si ritrova a vendere Tracce in centro a Milano. E, a un certo punto...

La proposta del Mese missionario straordinario, fatta da papa Francesco, in un primo momento mi ha lasciato un po’ a disagio. Sono uno specializzando in Radiologia a Milano e, nel mio ambiente di lavoro, non manifesto apertamente la mia appartenenza al movimento. Da un lato perché preferisco comunicarla solo nel caso di una domanda diretta, «Tu sei di CL?», dall’altro perché la penso come una cosa intima, da condividere solo con chi penso la possa capire.
Per questi motivi, all’inizio, non ho preso sul serio la proposta del Papa e poi l’invito alla “Giornata Tracce: mi sentivo a posto così. Il mio primo pensiero è stato: «Non ho mai pensato di regalare Tracce neanche ai miei genitori, figuriamoci proporlo sul posto di lavoro o addirittura a degli sconosciuti». Mi sembrava un passo più lungo della mia gamba.

Nell’ultimo anno e mezzo, però, l’amicizia nata nell’ambito della Scuola di comunità è stata per me una rivoluzione copernicana, soprattutto dopo l'impatto difficile con il mondo del lavoro dopo gli anni intensi del CLU. È così che alla fine ho accettato la proposta di andare a vendere Tracce in Via Palestro. L’ho fatto per due motivi: la stima che ho verso questi amici e per il desiderio di vivere intensamente come loro. Ho deciso di lanciarmi in un territorio che non sento mio, con tutte le mie domande e le mie paure.

All’inizio l’impaccio è stato totale e subito sono emerse le mie difficoltà: che invidia la libertà con cui alcuni di noi proponevano la rivista! Sono stato un’ora incastrato su quello che pensavo dovessi fare: non ho fermato nessuno e, soprattutto, non ho ottenuto qualcosa per me.

Ma a un certo punto, per caso, ho incontrato una mia collega con era con il fidanzato. È proprio vero che il Mistero ti viene incontro. Li ho salutati e, dopo aver chiesto come stava andando a lavoro, ho detto che cosa stavo facendo e che cosa stavo proponendo. Ovviamente non avevo calcolato nulla di tutto questo.
Le ho regalato la rivista dicendole che faccio parte di questa storia: è grazie all’incontro con il movimento che oggi io riesco a stare davanti alla malattia dei pazienti con la certezza di un Bene, e che riesco a stare di fronte al mio lavoro cercando di fare del mio meglio con la certezza che c’è Qualcuno che mi accompagna. A questo punto ci siamo salutati.

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Non so cosa sia cambiato per lei, ma io mi sono ritrovato più pieno e, allo stesso tempo, lacerato nel profondo, perché da un lato ho riguardato la mia storia e l’ho comunicata con una libertà non mia, dall’altro ho potuto riabbracciare la ferita che sorge in me ogni volta che ho a che fare con il risultato di una tac o una risonanza magnetica. E ho potuto riaffermare che, senza questa amicizia, non potrei trovarmi a sorridere ogni mattina, anche davanti alla malattia.

Mattia, Milano