Roma. Una tonnellata fatta da centinaia di "io"
La prima volta come responsabile di un supermercato. L'entusiasmo dei giovani di una multinazionale, quello dei diplomatici della Santa Sede e dei ragazzi di suor Antonella. E la cassiera che, alla fine, dice: «Qui siamo tutti contenti»«È andata bene? Qui erano tutti contenti!». Ci voleva il sorriso di una cassiera che sta per smontare, dopo ore a passare codici a barre e calcolare resti, per risvegliarmi dal torpore. Venti e trenta alla Coop di via Aurelia a Roma. Le saracinesche sono già abbassate e gli ultimi clienti si affrettano verso l’unica uscita ancora aperta.
Alla prima esperienza di capo équipe (“dalle 8 alle 8”, ma non alla maniera di Cinzia Leone) sogno solo di caricare sacchetti, cartoni, poster in macchina e tornare a casa. Ed invece ecco quel: «Qui erano tutti contenti» a farmi ricordare il senso di ore passate a volantinare, raccogliere, imballare, riso, pasta, pelati, fagioli, biscotti, latte, carne e tonno.
Tutto inizia alle 7 e mezza del mattino in un anonimo piazzale alla periferia nord della capitale. Come ho scritto, è la prima volta da “responsabile”: sono teso non sapendo bene cosa mi attenderà. La sorpresa arriva da un gruppo di giovani di una multinazionale che ha sposato la causa del Banco Alimentare invitando i propri impiegati ad aderire. Sono motivati ed efficienti. Sbrogliano rapidamente gli intoppi dell’avvio e accostano i clienti con piglio sicuro. Chi si mette ad assemblare i cartoni e chi a dividere per generi alimentari. Chi distribuisce i volantini e chi tiene la contabilità. Non sono necessariamente cristiani, ma hanno già capito che «fare il bene fa stare bene».
Alle 11 è il momento di un gruppo di diplomatici presso la Santa Sede. Vengono da Colombia, Honduras e Bolivia. Hanno conosciuto il gesto del Banco attraverso il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione. Ed io con un po' di timore mi domando cosa posso chiedere di “fare”, data anche la loro posizione. Ed invece ecco la seconda sorpresa. Anche se persone di una certa età, alcune accompagnate dai familiari, sono di una disponibilità estrema. Indossano senza indugio la pettorina ed iniziano a proporre alla gente il gesto della Colletta con l’ardore di un giovane.
In più, come si dice a Roma, fanno “caciara”: scherzano, esibiscono la bandiera dei rispettivi Paesi, mandano selfie davanti al supermercato ad altri diplomatici invitando a raggiungerli. Non pochi clienti si domandano chi sia quel festoso gruppo di volontari che, oltre a proporre un gesto di carità, sembra anche divertirsi molto. Mi racconta uno di loro: «Nei Paesi da cui proveniamo conosciamo bene cosa sia la povertà di un popolo. Per questo abbiamo aderito volentieri in Italia a questa iniziativa».
La pausa pranzo è il momento degli amici come lo sarà quello della chiusura: i due turni più pesanti. Chiara, Alessandro, Maria, Vito sono certezze e soprattutto persone che da anni condividono le gioie e le fatiche del vivere a Roma. Un momento per fare quattro chiacchiere, ma neanche tanto: il giro di clienti cresce come il muro di scatoloni, che alle 14 ha raggiunto già la mezza tonnellata.
Il pomeriggio è dei ragazzi di suor Antonella. Con lei si rinnova il miracolo del mattino: non è tanto un “fare” quanto un modo di “essere” quello che colpisce i clienti. Una gioia comunicata con un gesto, una rinnovata freschezza del «bene che fa stare bene».
Luca e Alberto, veterani della Colletta, vigilano sugli aspetti più tecnici. Si aggiunge Elisabetta. Con loro notiamo la maggior disponibilità delle persone ad offrire. Sono veramente pochi quelli che entrano a testa bassa o provano a svicolare con giustificazioni del tipo: «L’ho già fatta ieri» o «entro, ma non per fare la spesa». Nel settanta per cento dei casi tutti donano qualcosa, foss’anche una busta di pasta, ma c’è il vecchietto pensionato che arriva con buste cariche di omogeneizzati e la coppia che lascia un carrello pieno.
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Le ore scorrono veloci. Un cliente, consegnandomi il sacchetto, mi racconta che tanti anni fa anche lui faceva il volontario. Lo invito alla prossima edizione. Un altro ci racconta dei suoi problemi di lavoro. Una terza lavora in una casa-famiglia dove arrivano gli aiuti del Banco. Quando, alle 20 e 30, il supermercato chiude i battenti la tonnellata di alimenti è già in viaggio verso il deposito centrale. Una tonnellata fatta di centinaia di “io”.
Siamo rimasti in due a staccare i manifesti e raccogliere sacchetti e cartoni. Entro a salutare la direttrice, che ci ha aiutato in ogni modo, ed appunto i commessi da cui parte il: «Qui erano tutti contenti». Veramente la Colletta Alimentare è l’unico gesto nazionale di carità che svela l’anima di un popolo.
Paolo, Roma
#Colletta19