I ragazzi di GS a Rimini per il Triduo pasquale

Fantascienza? No, realtà magnifica

Il Triduo di GS a Rimini non si è chiuso il Sabato Santo: tante lettere di ragazzi e professori, come queste che pubblichiamo, raccontano di «una storia che continua»

«Preso in contropiede»
All’inizio c’era questa domanda: Signore, parto oppure no? Recenti problemi in famiglia mi avevano molto segnato e solo con l’aiuto degli amici della Casa rossa di Carrara, ero riuscito ad uscirne. Pensavo che andare a Rimini fosse un punto d’arrivo, pensavo di essere arrivato, di avere tutto, ma il Triduo mi ha dimostrato che non è così.
La prima sera, incontriamo Daniele, un nostro amico di Roma, e mi illumino a vedere come un mio amico gli corre incontro; dopo aver visto la scena lo seguo. Ho pensato: «Quanto poco è bastato per affascinarmi e per coinvolgermi con quel gesto e soprattutto che bello incontrare Dani a Rimini».
In quel momento ho provato una cosa nuova: nella mia vita ho avuto amici che abitavano lontani che ho sempre scordati, lui no! Lui mi sembrava non fosse mai partito. I momenti che abbiamo passato poi nei giorni successivi hanno concretizzato questo mio pensiero.
La mattina seguente, don Fabio parla del vuoto che un uomo ha sentito prima di uccidersi… Sono preso in contropiede, ripenso a quel maledetto vortice di violenza e solitudine che provavo prima di incontrare Dio attraverso gli amici di Casa rossa. Quindi alla fine sono andato a salutare don Fabio perché ne avevo bisogno, io “dovevo” conoscerlo. Mi ha fatto molto piacere poter parlare e confrontarmi con lui.
Nel frattempo incontro un tipo che è stato dieci anni in Uganda a lavorare in una scuola, una persona normale, a primo impatto niente di straordinario, si chiama Seve ed è un Memor Domini, il che mi incuriosisce perché non so minimamente cosa sia un Memor e poi c’è qualcosa in lui che mi spinge a conoscerlo: un saluto, una stretta di mano e due chiacchiere. Pomeriggio Via Crucis, una marea di canti e una sosta in un campo di margherite. Fantascienza? No realtà magnifica. Non avrei mai pensato di poter partecipare ad un gesto del genere.
Mi è piaciuto tantissimo, ho cercato di immaginarmi i fatti avvenuti attraverso gli occhi di chi era lì, mi sentivo come pervaso da qualcosa che neanche sapevo. Arriva l’ultima mattina, sul palco c’è Seve. Parla di sé ed io rimango spiazzato a guardare incredulo lo schermo.
Mentre parla, mi trasmette una forza, una vita, anzi la sua vita come se nulla fosse. Racconta che all’inizio voleva andarsene dall’Uganda perché tutti i piani gli erano andati in fumo. Poi parla del dialogo con la fondatrice della scuola dove lui lavorava, Rose. Di fronte alla sua incapacità, Rose gli dice che a lei interessa solo il suo sì e che questo è l’unico vero contributo che possiamo dare al mondo. Sono sorpreso! Ho sentito il petto esplodermi come non mai, perché passare da un vuoto ad una pienezza del genere solo Dio può farlo, non vi è vizio o amara distrazione che possa pervadere l’uomo a tal punto.
Dopo l’intervento di Seve, don Fabio riporta una frase di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico assassinato in Pakistan: «Voglio servire Gesù da uomo comune». Ho pensato a quello che voglio fare nella vita. Voglio diventare il miglior barman per cosa? Sinceramente a me non interessa essere il migliore, io sono già qualcuno perché ognuno di noi è unico.
Io desidero affidarmi a Cristo con tutto me stesso e se mi farà lavorare in una bettola sarò luce all’interno di essa, se mi farà lavorare nel miglior bar del mondo sarò luce nel miglior bar del mondo. E questo mi basta per vivere.
David, Carrara

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«Qualcosa è accaduto»
Il Triduo è appena terminato e già accade qualcosa, segno che siamo stati introdotti in una storia che continua. Giovanni frequenta il liceo classico, quarto anno, una passione per il pugilato, andando al pullman mi dice: «Deca, mi piacerebbe tanto salutare Seve e don Fabio…», io non me lo faccio dire due volte, «Vieni con me». In un istante ci ritroviamo sul retro della Fiera, qualcuno carica scatoloni su una macchina, un tizio lascia una porta semi chiusa, ci infiliamo. Nel buio del labirinto di salottini e corridoi ciechi, spero che don Fabio salti fuori ed in effetti eccolo: «Ecco Giò il pugile, ti aspettavo!» e si abbracciano, io mi commuovo. Subito dopo, il saluto con Seve, quindi corriamo verso il pullman, tutti ci aspettano per partire, dobbiamo andare a casa. Io guardo Giò: con la mente insegue un pensiero che lo attraversa… Qualcosa è accaduto. Qualche giorno dopo, a scuola facciamo il raggio: «Cosa ti ha colpito del Triduo? Cosa hai scoperto?». Inizia Emilia, di prima: «Ho una cosa piccola da dire, ma che ho notato subito venerdì mattina, alla prima lezione. Io e soprattutto alcuni miei amici spesso ci distraiamo, in classe, al raggio, invece mi ha stupito perché eravamo tutti come incollati, non è scontato per me: davanti ad un adulto che ci ha parlato per più di un’ora io, noi eravamo completamente incollati». Emanuele, il suo compagno di classe, incalza: «Non solo, io mi sono sentito guardato personalmente e nelle parole che don Fabio diceva mi sono anche sentito descritto. Continuo a chiedermi come sia possibile, ero circondato da 3.600 ragazzi e mi ha stupito anche questa “grandezza”, mi sono sentito dentro ad una cosa grande eppure, contemporaneamente, guardato personalmente».
Anche Giovanni interviene: «Ieri sera, mi sono visto con un caro amico che se ne è andato da Gioventù Studentesca, volevo raccontargli del Triduo e nella chiacchierata che abbiamo avuto mi sono accorto che entrambi abbiamo molte domande sulla vita, gli amici, il destino, il nostro futuro, eppure mi sono accorto che io ho una ipotesi da cui partire, l’ho capito provando a vivere tutto il gesto del Triduo. Io ho bisogno di un luogo in cui buttarmi, rischiare le mie domande, in cui stare, un luogo che mi faccia fare passi ben precisi. Mi sono accorto che GS è il mio luogo. Questa è l’unica cosa che ho in più rispetto al mio amico: abbiamo le stesse domande, ma io ho un luogo, GS, in cui posso buttarmi, in cui smetto di chiudermi in me stesso e inizio a camminare. Quando sono andato a salutare don Fabio, lui mi ha detto: “Ti aspettavo!” Io mi sono chiesto e anche ora ho questa domanda: “Ma come è possibile?”. Come è possibile che uno aspetti proprio me e conosca il mio nome? Eppure è successo».
Caterina, si trova in una situazione molto difficile, insieme ad alcune amiche il tornante della vita l’ha portata davanti alla grave malattia della cugina sua coetanea. È arrivata al Triduo carica di questa sofferenza ed è stata afferrata dalla testimonianza letta a tutti di questa mamma che, prima di andare in Cielo, con un filo di voce, registra un audio per la figlia: «Gesù, sia che io viva, sia che io muoia sono tua». «Quando ho sentito queste parole» dice Caterina «ho pensato a mia cugina, anche lei, pochi giorni prima di una grave operazione, mi aveva detto di essersi affidata interamente a Gesù. Al Triduo ho capito il senso di quelle parole e sono stata aiutata nella mia fede. Io spesso faccio fatica a pregare, ad andare a Messa, ma quella testimonianza, oppure la possibilità di seguire una proposta, la lezione, fare silenzio, questo mi ha aiutata nella mia fede fragile e debole, sono anche io in cammino, desiderio dare del Tu a Gesù». Cosa genera questa unità? Cosa genera questi legami? Il fatto di sentirsi aspettati, preferiti, guardati personalmente, scoprire di essere unici…? Né il sangue, né la carne, ma la familiarità che si inizia a sperimentare tra noi ha come origine qualcosa d’altro, Qualcun altro.
Il cristianesimo è un fatto, non una religione, ci ha detto don Fabio, che ha la potenza di generare una compagnia, un legame che è più forte del sangue, del rapporto con i propri genitori o fratelli, addirittura più forte della morte. Dunque affidarsi a questo non è un pensiero astratto, una idea, una filosofia, ma riguarda un luogo, un giorno, un volto precisi. Come suggerisce il canto Hoy Arriesgarè, «La mia nuova legge è la storia che mi è accaduto di seguire, anche se non l’ho meritata». Solo così è possibile iniziare a dare del Tu a Gesù ed essere per i compagni e i colleghi di lavoro davvero testimoni: Jesu tibi vivo, Jesu tibi morior, Jesu sive vivo, sive morior tuus suum.
Elena, Macherio (Monza e Brianza)