Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna

Fuori dal torpore. Il dialogo tra Zuppi e Carrón

Nell'incontro sui temi della pandemia, l'Arcivescovo di Bologna ha raccontato di sé e di come ha vissuto l'emergenza sanitaria. Un dialogo a due voci - diverse e consonanti - in compagnia dell'Abbé Pierre, Paul Claudel e Etty Hillesum
Stefano Filippi

Il cardinale Matteo Zuppi non si nasconde dietro le parole. Paura del Coronavirus? «Sì, ti senti vulnerabile». Perché si dimenticano le domande più profonde della vita? «Come dice il salmo 49, “nel benessere l’uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono”». La Chiesa è stata arrendevole quando ha cancellato le messe? «All’inizio, quando ho visto le mense eucaristiche vietate e quelle dei ristoranti aperti, ho pensato che qualcosa non andasse. Poi è stato chiuso tutto e ora sono contento di celebrare di nuovo con il popolo, ma a tutti dico: siate attenti, soprattutto per rispetto dei più deboli».

L’altra sera in video collegamento l’Arcivescovo di Bologna si è confrontato con don Julián Carrón in un incontro intitolato “Corpi e anime nella vertigine della pandemia”. Entrambi hanno pubblicato in questi giorni un testo sulla drammaticità di questo periodo (Zuppi, Non siamo soli. Credere al tempo del Covid-19, Emi; Carrón, Il risveglio dell’umano, Bur). Nella diversità dei linguaggi, il Presidente della Fraternità di CL e “don Matteo” si sono trovati molto vicini: avere vissuto tutti la stessa situazione facilita la comunicazione, hanno riconosciuto. Francesco Bernardi, presidente dell’associazione culturale Incontri esistenziali, ricorda la presenza del porporato in Duomo, a San Luca, con i tassisti, con gli infermieri. Cita il sindaco Virginio Merola, del Pd, il quale, finito il suo secondo mandato, si metterà a disposizione del Vescovo, «che per lui è stato uno degli incontri più significativi degli ultimi anni». E Zuppi insiste proprio sull’incontro, la vicinanza, e mette in guardia dalla «banalizzazione dei rapporti»: «Nel distanziamento, paradossalmente, la pandemia ci ha avvicinati, ha avviato un cambiamento profondo. È un grande patrimonio di relazioni da non sciupare».

La paura, una delle ombre più vaste gettate sul mondo. Carrón ne coglie un aspetto non scontato: «Ognuno, ovunque si trovi, è costretto a muoversi davanti a un evento sconosciuto per dimensioni e durata. Anche chi pensava di potersela cavare si è dovuto arrendere al reale. Chi si era chiuso nella comfort zone quotidiana non ha più potuto scappare dalla realtà». Zuppi approfondisce: «L’epidemia ha rivelato quello che siamo, vulnerabili ma anche capaci di energie insospettabili. Il mondo è entrato nelle nostre case a cambiare la vita senza riguardi. È un’umiliazione, a pensarci bene: in questa epoca, la più narcisista e individualista della storia, abbiamo scoperto che, come dice papa Francesco, non possiamo illuderci di vivere da sani in un mondo malato». La «bolla» in cui ci troviamo a un certo punto scoppia e ci scopriamo fragili anche senza ammalarci.



Sui video dei computer appaiono quattro figure, citate nei libri, che segnano il percorso. L’Abbé Pierre, che si dedicò interamente ai poveri: «Il male è un mistero che noi crediamo di potere cancellare da soli», dice Zuppi. «Poi arrivano le sconvolgenti immagini dei camion carichi di bare e di dolore». Lo scrittore Paul Claudel e la sua tormentata conversione: «Il dolore», aggiunge Carrón, «entra a gamba tesa e ridesta le domande più profonde del vivere, toglie il torpore nel quale si può cadere. Nemmeno a Gesù sono state risparmiate l’angoscia che fa chiedere a Dio "perché mi hai abbandonato?" e la morte. Ma egli ha potuto affrontarle avendo negli occhi la grande presenza, quella del Padre». Il Cardinale insiste: «È il benessere che favorisce la dimenticanza e fa vivere la sofferenza come un frangente da ospedalizzare o una colpa da nascondere».

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Il volto di Etty Hillesum, che poteva sottrarsi ai campi di sterminio ma non volle abbandonare la sua gente: «Dobbiamo essere compagni di strada e di cammino», chiarisce Zuppi. «Oggi la gente ha domande contorte, confuse. L’isolamento ha svelato grandi fragilità, ma noi dobbiamo coinvolgerci. Il rischio è di agire come fratelli maggiori, che ripetono “te l’avevo detto” oppure “finalmente hai capito”. Il nostro atteggiamento non dev’essere l’"aver ragione" del fratello maggiore, ma la sovrabbondanza della misericordia del padre». Il sorriso del vescovo vietnamita Van Thuan, tenuto in carcere per 13 anni dal regime: «Poteva maledire il potere», osserva Carrón, «invece accettò la sua condizione come la chiamata di un Altro e vide fiorire dietro le sbarre la sua umanità e l’incidenza storica della sua vocazione. Si può vivere tutto, dal carcere alla pandemia, come risposta a una chiamata. È una scelta di libertà».