Foto Avsi/Andrea Signori

Tende Avsi. Una convivenza feconda per il Libano

Il progetto della Campagna 2020 in un Paese colpito dal Covid e da una crisi socio economica profonda. Nei campi profughi si lavora per far ripartire un popolo grazie al sostegno a distanza. Ma non solo
Giorgio Paolucci

«Cara Teresa, mi sono rotto una mano giocando con i mei fratelli ma non ti preoccupare, sto bene. E tu, come stai in Italia? Hai paura del Covid? Mi raccomando, abbi cura di te!». Mohammad è un bambino siriano che vive con la famiglia nel campo profughi di Marjayoun, nel Sud del Libano. Anche lì è arrivato il virus e Mohammad è costretto a rimanere a casa, che per lui è una tenda di pochi metri quadrati senza servizi igienici. Eppure, è preoccupato per le notizie che arrivano dall’Italia dove abita Teresa, che da alcuni anni è diventata la sua “madrina” con il sostegno a distanza curato da Avsi. Nella lettera ha disegnato una casa colorata che la protegge, con le parole “la tua casa è al sicuro”. È il gesto semplice e umanissimo di un bambino che racchiude la forza del legame generato dal sostegno a distanza, un abbraccio che tiene insieme persone solo geograficamente lontane. Teresa è commossa e incredula: Mohammad, dalla sua tenda nel campo profughi, è in pensiero per lei. Gli risponde che sta bene, e che spera un giorno si potranno incontrare, magari in Siria, quando questa emergenza e la guerra che ha costretto la famiglia di Mohammad a scappare saranno finite.

Foto Avsi/Andrea Signori

Marjayoun è un distretto del Libano che confina con Israele dove si concentra uno dei progetti lanciati da Avsi per la Campagna Tende di quest’anno, per aiutare con il sostegno a distanza 1200 bambini e le loro famiglie. «Nel periodo di emergenza che stiamo vivendo abbiamo rimodulato i nostri interventi per poter continuare a garantire l’accompagnamento ai bambini che in questo momento hanno ancora più bisogno di cura e attenzione», racconta Chafica Abdou Kahale, responsabile del progetto Avsi. L’aiuto viene indirizzato soprattutto a bambini libanesi, ma anche i piccoli siriani ne beneficiano: corsi di recupero di inglese, francese, arabo, matematica (svolti “in remoto”, con l’insegnante che invia sul cellulare di un genitore gli esercizi da svolgere), distribuzione di materiale didattico, cibo e kit igienico-sanitari; un’assistente sociale propone spettacoli di marionette e unreading club con la lettura di favole. «Per le famiglie sono state attivate due linee telefoniche con due nostri psicologi per offrire supporto e consiglio alle famiglie durante questo lungo periodo di quarantena. Abbiamo organizzato anche una campagna di sensibilizzazione via WhatsApp, telefono e social sulle norme igienico-sanitarie da seguire contro il Covid19 e la distribuzione di pacchi alimentari per le famiglie più povere».

Il Libano vive una crisi economica e politica molto pesante, aggravata dall’arrivo del Covid e dall’esplosione del 4 agosto scorso nel porto di Beirut, che oltre ad avere causato 200 morti e la distruzione di centinaia di edifici ha generato un effetto a catena in tutto il Paese con attività economiche bloccate e decine di migliaia di disoccupati. Più di metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il che rende più tese le relazioni tra la popolazione locale e i rifugiati: un milione e mezzo di siriani e 300mila palestinesi, numeri che dato il contesto rendono ancor più complessa l’erogazione dei servizi di base.

Avsi, presente in Libano dal 1996, opera dal 2006 nel distretto di Marjayoun che fino al 2011 era abitato da 6mila cristiani e 25mila musulmani sciiti, ai quali dall’inizio del conflitto in Siria si sono aggiunti 10mila profughi musulmani sunniti, provenienti in gran parte da Idlib e che vivono sotto il mandato dell’Unifil, la forza militare di interposizione dell’Onu.

Oltre a rispondere alle esigenze essenziali di cibo, cure sanitarie e educazione, vengono promosse alcune attività generatrici di reddito. «Con l’emergenza Covid abbiamo coinvolto gruppi di donne nella produzione di mascherine che vengono consegnate alle municipalità, mentre gli uomini sono ingaggiati in attività agricole», spiega Marina Molino Lova, responsabile di Avsi in Libano: «In particolare, tra qualche mese partirà un’iniziativa concordata con due imprenditori locali, uno cristiano e uno sciita, che si sono impegnati a distribuire una parte della produzione agricola alla parrocchia e alla municipalità, le quali poi la consegneranno a libanesi e siriani. Il lavoro viene retribuito con il metodo del “cash for work”: ogni giornata vale 6 dollari (circa 50mila lire libanesi)».

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Intanto nella zona continua la costruzione di Fada2i, la “Casa Avsi” progettata gratuitamente dall’architetto italiano Mario Botta, destinata a diventare un punto di riferimento educativo, culturale e professionale per oltre 100mila persone. «E soprattutto il luogo dove testimoniare la possibilità di una convivenza feconda tra persone di fedi e culture diverse», commenta Marina Molino Lova: «È il messaggio che il Libano, pur tra tante difficoltà e contraddizioni, ha trasmesso per secoli al mondo. Ora più che mai c’è n’è un grande bisogno».